Il cantautore Antonio Diodato, 41 anni, pubblica oggi il nuovo album "Così speciale" - Foto di Marco Antinori
Sono passati tre anni da quando dai balconi la gente segregata in casa in lockdown a causa del Covid cantava a squarciagola Fai rumore, il brano con cui il cantautore Antonio Diodato aveva appena vinto in quel febbraio 2020 la 70ma edizione del Festival di Sanremo oltre al Premio della Critica Mia Martini e della Sala Stampa Lucio Dalla. Una canzone toccante e ispirata che assunse un significato oltre le aspettative diventando un inno di speranza per rompere il silenzio delle nostre strade vuote piene di paura. «Fai rumore è stata una cosa impressionante, mi ha travolto» ci racconta Diodato trattenendo per un attimo il respiro. Appunto il 2020 fu per lui un anno incredibile: da cantautore alternativo a vincitore a sorpresa di Sanremo, neanche il tempo di assaporare la vittoria ed ecco lo stop a tutti i concerti e tour. Ma poi una valanga di riconoscimenti: dopo aver cantato da solo in una Arena di Verona drammaticamente vuota in diretta mondiale a Eurovision, si è anche aggiudicato il David di Donatello e il Nastro d’Argento come miglior canzone originale per Che vita meravigliosa, dal film La dea Fortuna di Ferzan Ozpetek. Poi un lungo periodo di silenzio, se si eccettua un tour fra Europa e States nel 2021, e nel 2022 la presenza come ospite a Eurovision a Torino.
Oggi, senza fare troppo “rumore” come nel suo stile discreto e riservato, Diodato riappare con un nuovo, bellissimo album, maturato in tutto questo tempo, dal titolo Così speciale in uscita oggi per Carosello Records prodotto da Tommaso Colliva. Un lavoro con sonorità estremamente curate dallo stesso Diodato che ne è autore, direttore artistico e arrangiatore oltreché interprete, il quale in dieci brani riesce a passare dall’intimità di piano e voce (e che voce..) ad arrangiamenti corposi e orchestrali. Che, promette, saranno valorizzati in tour con una band di ben nove elementi per quella che sarà una grande festa della musica, al via il 15 aprile al Club Hall di Padova per toccare i migliori club italiani ed europei.
«Che effetto mi fa il ritorno dopo tre anni? Penso che le cose debbano avere un ritmo loro, un respiro e un loro tempo, in particolare per un album che ha molte riflessioni sul senso della nostra vita – ci spiega -. Sono felice di tornare, ma non ho l’impressione di essere stato così tanto fermo». Diodato, tanto timido nel privato quanto energico sul palco, a 41 anni è rimasto fedele a se stesso, ed ha evitato per il suo atteso ritorno i riflettori e i lustrini di Sanremo come spiega: «Ho un bellissimo rapporto con Amadeus. Mi è arrivato il messaggio che la porta era aperta. E’ un posto che mi ha regalato delle cose incredibili. Volevo però che questo album avesse un percorso diverso. Sentivo che non era il momento di tornare a Sanremo».
Diodato preferisce che a parlare per lui siano le canzoni che ci fa ascoltare nello studio di un rinomato negozio di imsue pianti stereofonici di Milano, commentandole con noi. A partire da Ci vorrebbe un miracolo, le trombe di una banda in testa, un manifesto ed una richiesta di aiuto in questi tempi caotici. «Oggi ci vorrebbe un miracolo ma non so proprio a chi chiederlo» canta l’artista. «Il messaggio di apertura è abbastanza esplicito – spiega -. Questo è un album pieno di umanità in tutti i sensi possibili, volevo che odorasse di umanità. Ha degli episodi più intimi e personali che diventano un qualcosa che si distacca dal vissuto e che spero diventi universale. Qui c’è uno sguardo sul caos in cui stiamo vivendo tutti noi. Questo parlarsi addosso, il non ascoltarsi mai, l’esprimere a tutti i costi un’opinione su qualsiasi cosa, il populismo imperante. A chi chiederlo un miracolo non so, mi faccio delle domande, per creare connessione con gli altri».
Ma Diodato, impegnato anche come direttore artistico nell’organizzazione del Primo Maggio di Taranto, città dove è cresciuto, è di quelli che sono per il rimboccarsi le maniche. «Credo si percepisca molta luce in questo disco – aggiunge -. Io sono un amante dell’essere umano, in tutte le sfaccettature, fragilità e aspetti più drammatici. Ho sempre speranza, e in più la fortuna di incontrare persone che vogliono vivere in un mondo senza barriere inutili o paure alimentate volutamente. Anche nei momenti più bui la musica mi ha sempre permesso di superare le barriere e si sente anche nei brani più malinconici. Credo nelle energie che noi stessi possiamo scatenare in modo positivo, credo si possa fare tanto senza aspettare che lo faccia qualcun altro per noi».
E comunque ci si gode le ampie melodie e la voce usata come uno strumento da Diodato in Così speciale che racconta la solitudine della pandemia, o nella elegantissima ballata Ormai non c’eri che tu. «Esplicita la mia volontà di partire da qualcosa di intimo e farlo diventare qualcosa di più grande e rappresentativo, come nella copertina disegnata da Paolo De Francesco, con quei fiori potenti ma sorretti da uno stelo fragile. Vorrei che l’album fosse punto di incontro con qualcun altro. Un modo per riconoscere le cose speciali, che riteniamo importanti, e lasciarle fiorire». Certo Che casino è mescolarsi con gli altri, canta fra suoni di tromba che ricordano certe colonne sonore dei film anni settanta, quelli che ben conosce Diodato, laureato in cinema al Dams di Bologna e che qui sfodera l’esaltante Se mi vuoi, un brano alla 007 scritto per la colonna sonora di Diabolik – Ginko all’attacco dei Manetti Bros.
Ma poi c’è la vita di tutti i giorni e una madre che si domanda «che fine farò a stare da solo in questa città» nella cantabilissima Occhiali da sole. «E’ la fotografia di Antonio oggi – aggiunge abbassando il tono delicato della voce -. Quando fai determinate scelte nella vita, anche le persone che ti voglio bene hanno delle aspettative su di te. Mio fratello ha appena avuto una bambina e mia madre adesso si sta preoccupando per me». Perché l’amore che canta (e un po’ rappa) Diodato a volte diventa Un buco nero nel cuore, ma poi si dice a se stessi Lasciati andare, sul suono di una blues band, «in un dialogo dove la testa invita il cuore a lasciarsi andare anche se hai preso un po’ di bastonate » spiega Diodato. Vieni a ridere di me chiude un album che si ascolta d’un fiato. « E’ il racconto dei gesti quotidiani di chi è restato solo, ma si apre a una luce che chiude giustamente il disco».