Einstein e Tagore nella casa dello scienziato a Caputh - archivio
Il loro incontro si tenne in una calda giornata di mezz’estate, in un luogo per certi aspetti bucolico, ma in grado di offrire la cornice opportuna in cui collocare un dialogo poi diventato uno degli avvenimenti del racconto del ‘900. Fu anche un tentativo per provare a riunire scienza e filosofia, com’era alle origini dopotutto, oltre che a un confronto tra cultura occidentale e orientale. Non solo, diventò pure un colloquio sulle rispettive passioni, come la musica che per entrambi era “un canto di pace e di armonia dell’universo”. Li univa anche un’affinità: la capacità di scoprire le cose del mondo, nello stesso modo con cui lo sa fare un bambino, meravigliandosi ogni volta per le mille facce della natura.
Era il 14 luglio 1931 quando Albert Einstein (premio Nobel per la fisica nel 1921 per l’effetto fotoelettrico) accolse nella sua residenza di Caputh, con vista lago, a pochi chilometri da Postdam e da Berlino, il filosofo bengalese Rabindranath Tagore (premio Nobel per la Letteratura nel 1913 per la sua raccolta poetica intitolata Gitanjali) in quei giorni ospite in Germania. Prima dell’ascesa del nazismo, Berlino era una delle capitali culturali del mondo, in cui gli intellettuali si incontravano. Il sapere mitteleuropeo infatti dava lustro a tutta Europa e nel Vecchio Continente tutti ci volevano venire.
E quel “parlato”, di due protagonisti assoluti del Novecento, così ricco e così importante, pubblicato per la prima volta nel 1931 dalla rivista “Modern Review”, è oggi riportato integralmente nel libro scritto da Enrico Impalà e intitolato Il poeta e lo scienziato – Quando Rabindranath Tagore incontrò Albert Einstein (Terra Santa Edizioni, pagine 272, euro 16,90).
Nella casa di Caputh, benché fosse stata concepita come residenza estiva, dal 1929 al 1932, Einstein – in convalescenza – assieme alla sua famiglia vi abitò parecchio. Era una casa modesta, non certo adatta a ricevimenti o ad altri appuntamenti mondani. In giardino, un capanno con gli attrezzi fu trasformato in un salotto dove accogliere gli ospiti, che furono negli anni davvero tanti.
Infatti, non solo Tagore, che oltre ad essere poeta fu anche drammaturgo, pittore, musicista e filosofo, discendente da una famiglia di bramini, andò a trovare Einstein accompagnato per quella occasione da Bruno Mendel, medico e amico dello scienziato. In quel “salotto d’inverno”, lo scienziato tedesco ospitò il gotha della fisica e della chimica di allora (come per esempio Max Plank, Max von Lauen, Otto Hahn, Fritz Haber e Max Born) e altri illustri intellettuali come i fratelli Mann, Heinrich e Thomas.
Ma per Impalà è tuttavia l’incontro con Tagore che va sottolineato con forza, anche per la sua originalità: un dialogo fatto in inglese con il tentativo di coniugare appunto il pensiero occidentale con quello orientale. Un dialogo con l’Occidente e la sua scienza che Tagore sosteneva («se siamo così ciechi alla grande visione delle forze vorticose che la scienza a rivelato, il charkha non avrà più significato per noi»), a differenza del Mahatma Gandhi che promuoveva invece «la non cooperazione» con gli inglesi e l’Europa.
Einstein era incuriosito da mondo in cui si muoveva Tagore ne intuiva la conoscenza profonda ma diversa della natura delle cose. Ma cosa rimane oggi di quell’incontro? Per Impalà la risposta è «la bellezza» e l’ammirazione per due sinceri «ricercatori della verità e della realtà». Seppur diversi, profondamente diversi - l’uno concentrato sulla scienza, l’altro sulla spiritualità – avevano, oltre alla musica e la meraviglia per la scoperta delle cose, anche altri punti in comune . Per esempio, una visione simile su istruzione ed educazione: la scuola era vista come espressione di libertà, lo studio come uno strumento per migliorare sé stessi e la propria comunità.