Martin Gore e Dave Gahan, i due componenti dei Depeche Mode pubblicano iol nuovo album "memento mori" - Foto di Anton Corbijn
I Depeche Mode sono tornati con un messaggio forte e chiaro, Memento mori, ricordati che devi morire. La band britannica, che in oltre 40 anni ha venduto 100 milioni di dischi e riscritto la storia dell’elettro pop e dell’elettronica in generale, ha da sempre fatto dell’immaginario dark e della cupezza dei suoni un marchio di fabbrica, ma qui più che estetica c’è profonda sostanza in un concept album (in uscita il 24 marzo per Columbia Records/Sony Music), che affronta apertamente un tabù dei nostri tempi. Il titolo dell’album (su cui campeggiano due corone di garofani bianchi a forma di ali d’angelo), spiegano, si ispira alla frase che veniva sussurrata agli antichi generali romani in trionfo dallo schiavo al loro fianco, “ricordati che sei un uomo”. Diventata poi "memento mori" nella cultura cristiana medievale e soprattutto post conciliare, con il teschio elemento iconografico ripreso anche nelle foto in bianco e nero del fedele fotografo e regista Anton Corbijn che accompagnano il cd in cui appare anche l’ombra di Andrew John Fletcher, il tastierista e cofondatore della band scomparso all'improvviso a maggio 2022 ricordato dai compagni di viaggio Dave Gahan e Martin Gore “nei nostri cuori e nelle nostre menti”. Tutti e tre avevano collaborato durante la pandemia alla creazione di questo 15esimo album, il primo dopo cinque anni, nonostante Dave Gahan avesse quasi deciso di mollare la vita della rockstar, lui che ha visto la morte da vicino per due volte per overdose ai tempi dei grandi successi e degli eccessi, e che oggi, libero dalle dipendenze, è un tranquillo sessantenne che si gode la famiglia e i figli adolescenti. Oggi i due Depeche Mode rimasti hanno deciso di pubblicare comunque il disco, prodotto da James Ford e dall’italiana Marta Salogni, e di ritornare in tour. In Italia saranno il 12 luglio allo stadio Olimpico di Roma, il 14 a San Siro a Milano e il 16 allo stadio Dall’Ara di Bologna.
Il tema della morte, in Memento mori, è declinato però sulle corde della luce e della speranza, con un invito a vivere al meglio i nostri giorni su questa terra. Un album coerente dove il suono torna quello classico dei Depeche Mode primissimi anni 80, ricco di atmosfere evocative e spaziali in un tripudio di sintetizzatori con una produzione magistrale, dove a dominare è il potente ritmo elettro-rock con qualche delicata ballata.
Soprattutto Martin Gore, l’autore di quasi tutti i brani della storia dei Depeche Mode e di questo album, è sempre stato attratto dal mistero cosmico, quindi lasciate le citazioni ambigue di grandi successi come Personal Jesus e Songs of faith and devotion, negli ultimi album sono stati scelti titoli come Sound of the universe, Playing the angel, Spirit. Il primo dei 12 brani di Memento mori, My cosmos is mine (Il mio cosmo è mio), ci proietta subito in una atmosfera siderale sostenuta dalla voce sempre fonda e bellissima di Dave Gahan che intona un ritornello contro la guerra, “No alla guerra, basta, no alla paura, non qui, niente pioggia e niente nubi, nessuno dolore né sudario, nessun respiro finale, nessuna morte insensata”.
E se nel video del singolo Gosths again Gore e Gahan giocano a scacchi come la Morte e il Cavaliere ne Il settimo sigillo di Ingmar Bergman cantando che “torneremo ancora fantasmi” sognando il Paradiso, nella pacificante Soul with me la delicata voce di Martin Gore intona una sorta di spiritual elettronico. “Sto andando verso il sempre dopo aver lasciato i miei problemi…vado dove gli angeli volano / e sto portando la mia anima con me”. E se “dobbiamo muoverci /prima di annegare” nell’energica Before we drown, si chiede un aiuto al cielo per tornare ad avere fiducia nella gente, nonostante le cattiverie, nel bel blues elettronico “People are good. In un “mondo sottosopra” è l’amore vero che salva, Always you, mentre insieme si cercherà di portare il mondo “fuori dal buio dentro la luce” nella iper elettronica Never let me go dove rispunta una drum machine alla Vince Clark del primo album Speak & spell del 1981. A chiudere un album che convince per pienezza musicale e di contenuti la dolce Speak to me, una sorta di preghiera, “tu mi guidi, io seguo la tua voce”, un invito a farsi sentire a chi non c’è più o a Qualcuno di più in alto. Chissà.