lunedì 15 maggio 2023
Il Tribunale di Firenze ha riconosciuto la tutela dell'"espressione del diritto costituzionale all'identità collettiva dei cittadini che si riconoscono nella medesima Nazione". E il pubblico dominio?
Il David di Michelangelo, nelle Gallerie dell'Accademia di Firenze

Il David di Michelangelo, nelle Gallerie dell'Accademia di Firenze - WikiCommons / Σπάρτακος / Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Non si può usare senza autorizzazione l'immagine del David di Michelangelo, tanto più per fare pubblicità, perché fa parte dell'immaginario collettivo della Nazione che va considerato un bene tutelato e disciplinato. È il parere del Tribunale di Firenze che ha riconosciuto l'esistenza del diritto all'immagine dei beni culturali.

Il caso arriva a poche settimane da quello analogo a Venezia per l'Uomo vitruviano, con l'Accademia contro Ravensburger per l'uso non autorizzato (e non pagato) del disegno leonardesco per i puzzle. Questa causa invece riguarda una nota casa editrice che, in assenza di concessione all'uso dell'immagine del David di Michelangelo e senza pagamento di alcun canone per l'utilizzo, ha pubblicato sulla copertina di una propria rivista il capolavoro scultoreo e - recita la sentenza - "con la tecnica lenticolare ha insidiosamente e maliziosamente accostato l'immagine del David a quella di un modello, così svilendo, offuscando, mortificando umiliando l'alto valore simbolico e identitario dell'opera d'arte e asservendo la stessa a finalità pubblicitarie e di promozione editoriale". L'editore, secondo il tribunale, non solo ha omesso di chiedere il consenso per la riproduzione all'amministrazione, ma ha "dolosamente impedito" al ministero di valutare la compatibilità tra l'uso dell'immagine del David e la destinazione culturale della stessa". Infine, secondo il giudice, la società ha "dolosamente utilizzato l'immagine del David con la cartotecnica lenticolare" nonostante la direttrice della Galleria dell'Accademia avesse negato l'autorizzazione perché quella tecnica "alterava l'immagine del bene culturale". Il giudice ha condannato l'editore a un risarcimento complessivo di 50mila euro per danni patrimoniali e non patrimoniali al ministero per i beni e attività culturali.

Il David, conservato nelle Gallerie dell'Accademia, non è nuovo a cause storiche. La prima risale al 2017, quando il Tribunale di Firenze accordò - con un'ordinanza cautelare - tutela all'immagine del David di Michelangelo inibendone l'uso illecito a fini commerciali. In questo caso per la prima volta si afferma, in una pronuncia di merito, l'esistenza del diritto all'immagine dei beni culturali quale "espressione del diritto costituzionale all'identità collettiva dei cittadini che si riconoscono nella medesima Nazione".

Davvero questa sentenza pone "il nostro ordinamento all'avanguardia nel campo della tutela del patrimonio culturale", come si legge? O meglio: al cuore c'è davvero un diritto alla dignità del patrimonio culturale o è un ombrello culturale sotto cui porre il diritto a sfruttarne i diritti? Quanto possono valere in termini monetari le immagini del David di Michelangelo e dell'Ultima Cena di Leonardo? Qual è il limite che disciplina il grado di offensività verso "l'identità collettiva dei cittadini che si riconoscono nella medesima Nazione"? (E se è lo Stato a superarlo, come nel caso sciagurato della Venere influencer di Open to Meraviglia, che si fa?). E se invece proprio questa appartenenza rendesse non solo plausibile ma lecita la manipolazione da parte dei cittadini del loro immaginario fondativo? L'immagine del David che sta in cima a questo articolo (ricavata da WikiCommons e rilasciata con licenza Creative Commons) è stata pubblicata in ambito commerciale senza richiederne autorizzazione al museo. Tecnicamente è un abuso.

C'è nella legislazione e nella giurisprudenza italiana un cortocircuito tra tutela e diritto d'autore, ragione per cui il problema non è culturale ma commerciale. Queste opere ricadono di qualche secolo all'interno del pubblico dominio. La relazione fra beni culturali e diritto d’autore è fissata dal Codice dei Beni Culturali, che negli articoli 107 e 108 norma l'uso del patrimonio. Mentre la natura della tutela delle opere dell’ingegno ha natura privatistica e individualistica, per i beni culturali risponde a un interesse collettivo, e si fonda su un riconoscimento della loro importanza. Per l'articolo 108 in caso di riproduzioni di beni culturali l’utilizzatore ha l’obbligo di corrispondere canoni di concessione e corrispettivi di riproduzione: è la base su cui si è fondata la sentenza del Tribunale di Firenze del 2017, che ha vietato l’utilizzo delle immagini di beni culturali a fine di lucro. In sostanza lo Stato ha assunto su di sé, in nome dell'interesse pubblico, le prerogative del privato (gli eredi), estendendole all'infinito.

Va ricordato che sempre l'articolo 108 prevede come liberi gli utilizzi delle immagini di beni culturali per “promozione della conoscenza del patrimonio culturale". Ma proprio il caso Uomo vitruviano sembra andare in controsenso: un puzzle, per quanto messo in vendita, non è una forma corretta di “promozione della conoscenza del patrimonio culturale"?

Non è finita. Con la Direttiva il Parlamento Europeo ha legiferato sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, andando a toccare la questione dei diritti di riproduzione sulle “opere dell’arte visiva” realizzate da autori morti da più di settant’anni e, quindi, cadute in pubblico dominio. L'articolo 14 in particolare prevede che alle opere di pubblico dominio non sia più possibile applicare anche "i diritti di privativa" per controllarne la diffusione e la riproduzione. L'articolo 108 e le richieste di sfruttamento economico da parte delle istituzioni entrano vistosamente in collisione con lo spirito e la lettera della normativa europea. Nonostante ciò, nell'attuazione della Direttiva 790/2019, l'Italia precisato che “restano ferme le disposizioni in materia di riproduzione dei beni culturali di cui al Codice dei Beni Culturali”. Tutto questo mentre sempre più grandi musei internazionali stanno rilasciando con licenza Creative Commons immagini in alta qualità del loro patrimonio.

La nuova sentenza del Tribunale di Firenze sembra accentuare questo strabismo italiano, che si incista su uno strabismo di più antica data che scinde quasi fossero due entità diverse bene culturale materiale e immateriale. Se il problema è la "espressione del diritto costituzionale all'identità collettiva dei cittadini che si riconoscono nella medesima Nazione", l'autorizzazione non dovrebbe riguardare allora, ad esempio, anche l'opera lirica e la letteratura? E allora una autorizzazione al Ministero della Cultura per tutte le volte in cui Va, pensiero è straziato in un jingle pubblicitario. E un obolo per ogni occasione che padre Dante finisce in uno spot o l'Inferno diventa spunto per un film, magari previa lettura censoria della sceneggiatura, che non leda l'identità collettiva. Avremmo messo una bella pezza al bilancio della Nazione.


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