Il maestro israeliano Daniel Oren
Neanche la pioggia può fermare Daniel Oren, soprattutto se si tratta di un concerto di Natale. Il maestro israeliano, il 23 dicembre scorso, ha sfidato il nubifragio che ha flagellato Salerno per portare a termine la seconda edizione del Concerto sotto l’albero da lui diretto insieme all’Orchestra e al Coro del Teatro Verdi di cui è direttore artistico. Questo è successo prima di volare a Londra dove dal 17 gennaio dirigerà La traviata di Verdi alla Royal Opera House. E poi ancora La bohème a Torino e a Salerno, il Falstaff a Palermo a febbraio e quest’estate l’Arena di Verona. Intanto è appena uscito un bel volume fotografico di Scripta Maneant sul Teatro Comunale di Bologna con una sentita introduzione del maestro Oren, prima di una collezione dedicata ai teatri lirici italiani. D’altronde il direttore d’orchestra e cantante lirico sessantaquattrenne è legatissimo all’Italia e alla musica legata allo spirito.
Maestro, lei che è di fede ebraica, che rapporto ha con il Natale?
Io sono credente e la musica è un contatto con Dio. L’ho detto anche quando a novembre ho diretto il Requiem di Verdi a Santa Cecilia: non sono stati concerti, ma preghiera. Io pregavo durante le prove molto meglio che in sinagoga, era una preghiera continua. Non c’entra niente se in latino o in ebraico. Mi sentivo innalzare attraverso il Requiem a livelli altissimi grazie a questi testi meravigliosi anche se non sono i miei. Attraverso la vostra musica sacra, mi sono elevato a livelli altissimi, un’esperienza che mi sta sconvolgendo. Penso allo Stabat Mater di Dvorák, alla Messa di Puccini che ho portato a San Pietroburgo, o alla Messa di Rossini che ho fatto suonare per primo all’Orchestra Filarmonica di Israele una decina di anni fa. Alcuni orchestrali ebrei molto dogmatici non erano d’accordo, ma dopo i concerti mi hanno detto: «Maestro, aveva ragione lei». L’arte va oltre.
Lei ha anche suonato nel 2015 in Aula Paolo VI per le opere di carità di papa Francesco…
È stato un mio desiderio grandissimo conoscere papa Francesco, è una delle personalità che ammiro di più. È stata una incredibile emozione suonare in Sala Nervi e davanti a duemila persone, fra poveri e profughi. Desidererei con tutto il mio cuore ripetere una cosa del genere, o suonare il Requiem di Verdi nella Cappela Sistina davanti al Giudizio universale.
Il Papa cosa le ha detto?
Ho voluto avere la benedizione del Papa. Lui ha ricevuto me, mia moglie e i nostri quattro figli. Francesco è così sensibile. Mi ha chiesto «Maestro, ma se io le faccio una benedizione la offendo?», e se poteva farmela in spagnolo. Era la benedizione di Aronne. «Questo è la benedizione che preferisco », ha aggiunto... Per me lui è il numero uno.
Tra l’altro lei ha un rapporto stretto con l’Italia.
Il rapporto con i teatri italiani, per mia fortuna è una storia d’amore. Dal momento che mi presento sul podio si crea un grande feeling da me e l’orchestra, e tutti i membri del teatro. Sono stato fortunato, non so perché. L’italiano ha un qualcosa di speciale, una passione particolare per la musica, la cultura. E il mio modo mio di fare e di comunicare le grandi emozioni è stato apprezzato. Oggi si fa molto più caso alla perfezione in tutti i campi, ma io ricordo come suonava Rubinstein in Israele: più che la perfezione tecnica, contava la passione. Io da Dio ho ricevuto questa fortuna, che riesco a “sentire” dentro la musica. Verdi, Puccini e il Verismo, se non li senti dentro di te, non li puoi interpretare.
Lei è stato amato nei grandi teatri lirici italiani, da Santa Cecilia a Roma al San Carlo di Napoli, al Comunale di Bologna. Cosa ricorda, in particolare, nel volume dedicato a quest’ultimo?
In tutti questi teatri, ho trovati un grande entusiasmo. A Bologna la mia storia si è intrecciata con quella di Rajna Kabaivanska, la mia grande protagonista, una vera interprete, non solo per la voce, ma per il modo il modo in cui diceva le cose, come esprimeva i colori, le mezze voci… Io scappo se trovo cantanti a tutta voce.
Lei, pur se giovane, ha incontrato e collaborato con i più grandi nomi della musica classica del secolo scorso.
Ho vissuto una stagione favolosa: sono stato fortunato, ho incontrato grandissimi artisti, che i giovani di oggi non conoscono. Per questo sogno di fondare un’orchestra giovanile. Io ho la volontà passare quello che ho imparato da Bernstein, Karajan.
Con Zeffirelli lei ha avuto una collaborazione speciale.
Ho avuto un grandissimo rapporto con Zeffirelli. Lui mi ha voluto molto bene, credeva molto in me. È stato un colpo al cuore che fosse morto tre o quattro giorni prima della nostra rimessa in scena della sua Traviata quest’estate all’Arena di Verona. La scena iniziava con un funerale e l’arrivo di un prete: mi sembrava il funerale di Franco e io piangevo tutte le volte. Ho diretto tutte le inaugurazioni all’Arena con le sue pietre miliari, Il trovatore, Carmen, Madama Butterfly. Era un genio. E ho paura che un genio non lo troveremo più.
Una domanda, infine, sulla Terra Santa, tormentata anche in questi giorni natalizi. La musica può contribuire al processo di pace?
La musica è un veicolo così alto e così importante, attraverso la musica si riesce ad alzarsi vicino a Dio. La mia speranza è di poter portare la gente ad avvicinarsi a questi ideali. La pace è volontà di tutti noi in Israele. Magari non di tutti i leader politici, ma il popolo è stanco di spargimenti di sangue. Una mamma israeliana e una mamma araba pensano la stessa cosa, nessuna di loro vuole sacrificare i figli e il marito. Non si trovano i grandi leader capaci di fare questo passo a breve, ma per forza la pace deve succedere.
Come fa ad esserne così sicuro?
Sono convinto che la musica ci fa diventare più buoni. Il sogno di mia madre era che suo figlio avesse una missione: portare fuori da Gerusalemme messaggi di pace. Ed io ci sto provando.