giovedì 21 novembre 2013
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​«Mi chiedo cosa succede all’uomo se si abbandona all’indifferenza, se lascia crescere in sé l’egoismo. Me lo chiedo attraverso le cronache di tanta povera gente che sperimenta ogni giorno il peso e la rovina di questa indifferenza. Mi tornano alla mente le parole di Papa Francesco: "Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!». Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, presenta così il 17° Tertio Millennio Film Fest – in programma alla Sala Trevi di Roma dal 3 all’8 dicembre, organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo presieduta da don Ivan Maffeis che si è avvalso della direzione artistica di Marina Sanna in collaborazione con Gianluca Arnone – il cui tema è davvero attuale: Innocenti nella tempesta. Il cinema contro la globalizzazione dell’indifferenza. «Sono quegli innocenti – precisa monsignor Carlos Alberto Azevedo, Delegato del Pontificio Consiglio della Cultura – costantemente in balia della tempesta, che ci interpellano senza sosta nel nostro grado di ospitalità». È il neo Presidente dell’Ente dello Spettacolo a indicare le linee del Festival: «Quando abbiamo iniziato a pensare ai film da invitare ci siamo ispirati alla parola esplicita del Papa – dice don Ivan Maffeis –. Abbiamo preso alcune opere del panorama internazionale che sapessero raccontare la tempesta sollevata dalle forze del male, quella in cui tante volte l’innocente rimane travolto. Noi sappiamo che la violenza spesso dilaga là dove c’è un ritrarsi, dove c’è un rinunciare alla propria responsabilità. Così questi film ci fanno toccare con mano il dramma della tempesta, vuoi che sia una tragedia naturale come nel film con Robert Redford All is lost - Tutto è perduto, o la realtà urbana descritta da Tsai Ming-Liang in Stray Dogs, o le intolleranze religiose in Kush dell’indiano Shubhashish Bhutiani, o quelle familiari che colpiscono prima di tutto i figli in Medeas dell’americano Andrea Pallaoro o i bambini travolti dall’orrore della guerra in Wolfskinder di Rick Ostermann. Insomma, ci mettiamo in ascolto di questi drammi con la convinzione che possa nascere la domanda: io cosa posso fare? E si riesca a dare una risposta di prossimità che contribuisca ad asciugare la forza della violenza, a convertire l’indifferenza in solidarietà».

Don Ivan è ben cosciente delle sfide che lo attendono. «Alla Fondazione ho trovato una realtà molto ricca, di passione e di professionalità. I passi che possiamo impegnarci a fare sono prima di tutto una maggiore sinergia col territorio e con gli Uffici della Conferenza Episcopale Italiana, mettendo il cinema a disposizione delle diverse attività pastorali». Attraverso la Fondazione, la Chiesa ascolta il cinema, lo guarda, ci dialoga. E gli interlocutori incontrati da don Ivan lo hanno sorpreso. «Ho trovato attenzione e serietà – prosegue– nelle tante persone che hanno chiesto di conoscermi in questa mia nuova veste, credibili e rispettose della nostra fede, anche se lontane dai nostri mondi. La disponibilità che ho avvertito è davvero autentica. Va dall’aspetto più pratico, come la distribuzione che non penalizzi le nostre sale e certi titoli che ci stanno maggiormente a cuore, alla volontà di sedersi attorno a un tavolo e chiedersi come collaborare per una proposta di qualità, per un progetto o un’idea che appartengono di certo al mondo cattolico, ma diventano una parola attesa e cercata anche dagli altri».

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