«Come tutti i registi sono terrorizzata da uno spettacolo all’aperto. Anche se la Palestra dei Gladiatori di Caracalla è di straordinaria suggestione». Chiara Muti, attrice di teatro, dopo il debutto alla regia lirica l’anno passato al Ravenna Festival chiamata dal padre Riccardo, ora è pronta a fare da sé. Stasera l’aspetta infatti la prova del nove con l’inaugurazione della stagione 2013 del Teatro dell’Opera alle Terme di Caracalla dove si cimenta nella regia di Dido and Aeneas, capolavoro barocco di Henry Purcell diretto dal maestro Jonathan Webb.
Signora Muti, il palco può fare paura anche come regista?Uno spettacolo all’aperto è sempre un enigma perché non puoi controllare quella scatola magica che è il teatro. Non puoi pensare di mettere delle quinte in questo spazio meraviglioso. Si parla di un’opera barocca che in 50 minuti brucia la storia in una dinamica così travolgente dove c’è un cambio di emozione, di situazione e di scena dietro l’altro, dall’amore dei due protagonisti al suicidio di Didone. Quindi ho scelto una pedana circolare che potesse rappresentare il tempo che scorre inesorabile.
Il mito può raccontare l’attualità?Naturalmente. In quest’opera convergono il mondo latino, i miti fenici, il barocco inglese. Purcell introduce le streghe dal mondo nordico e dal teatro shakespeariano, demoni grotteschi che compiono il male ridendo. Ho sottolineato la loro presenza: rappresentano l’invidia, quelli che vedono felicità di qualcuno e la vogliono distruggere. Sono la negatività che che ci circonda anche oggi. In questo Purcell è modernissimo.Come è la tragedia di Didone, una donna tradita, vista da una donna?Il mio lato femminile si rivela nell’aver messo in scena Ascanio, il figlio di Enea che Purcell non inserisce. Ma per Virgilio è fondamentale. La regina di Cartagine, che ha deciso di sacrificare tutta la vita al ricordo del marito morto, viene toccata in profondità vedendo Enea che si occupa teneramente del figlio. E viene assalita da un desiderio immenso di diventare madre, di avere una vera famiglia anche lei.A proposito di famiglia, la sua quanto è stata importante nelle sue scelte artistiche?Il mondo della musica è la mia vita da quando sono nata, ed ora sono arrivata a quello cui sapevo un giorno sarei approdata. L’opera ha una sua magia, unisce tutto, teatro, parola recitazione, musica. La musica sublima tutto. È un affresco in senso totale. L’importante è, però, avere rispetto del libretto e delle parole.In questo suo padre, Riccardo Muti, è stato un maestro o lei ha avuto anche momenti di ribellione?No, non c’è mai stato un motivo di ribellione per me. Tutto quello che ho registrato aveva sempre un senso sia logico, che morale. Sin da bambina ho imparato ad amare l’arte, sentendomi una grande privilegiata nel farne parte. Io da mio padre, e da figure come lui, ho appreso moltissimo, assistendo sin da piccola a tutte le prove musicali, vedendo il delinearsi di un personaggio, il cambiamento dei colori dell’orchestra. Mio padre è un uomo di pochissime parole e il giorno in cui mi ha offerto di lavorare con lui, dimostrandomi fiducia, per me, è stata una promozione sul campo.Ha "rubato" qualche trucco del mestiere anche a Giorgio Strehler?Strehler è stato il mio grande maestro quando studiavo al Piccolo, mi ha totalmente soggiogata. Già a 8 anni ricordo i suoi monologhi durante le prove delle Nozze di Figaro alla Scala, diretto da mio padre. Pur piccolina, volevo restare lì fino alla fine, affascinata dal buio del teatro, dai suoi silenzi e dalle sue riflessioni. Vivere tutto questo da bambino lascia immagini di sogno, come Alice nel paese delle meraviglie. Ma uscire dal teatro era per me un trauma. Questo mi ha reso solitaria e all’epoca ho avuto delle difficoltà di adattamento. Ma ormai questo è il mio mondo e il mio futuro. E a settembre curerò la regia di Orfeo e Euridice di Gluck a Montpellier.