Roberto Righetto - archivio
Al dibattito su cattolicesimo e cultura, avviato da PierAngelo Sequeri e Roberto Righetto, sono intervenuti Gabriel, Forte, Petrosino, Ossola, Spadaro, Giaccardi, Lorizio, Massironi, Giovagnoli, Santerini, Cosentino, Zanchi, Possenti, Alici, Ornaghi, Rondoni, Esposito, Sabatini, Cacciari, Nembrini, Gabellini, Vigini, Timossi, Colombo, De Simone, Arnone, Bruni, Postorino, Dionigi, Lupo, Pierangeli, Verbaro, Rocelli e Riccardi. QUI tutte le puntate della serie.
Poiché non è semplice riassumere l’ampio dibattito che si è sviluppato sulle pagine di Agorà in questi mesi su cattolici e cultura, mi limiterò ad alcune sottolineature e ad avanzare alcune proposte concrete. Nel mio articolo del 9 marzo sono partito da una semplice constatazione: la sottovalutazione della cultura da parte della Chiesa e del mondo cattolico italiano. E’ un fenomeno universale e trasversale, che tocca vescovi e preti, ma anche i laici. E’ rarissimo leggere pronunciamenti del magistero che affrontino la questione, ed è difficile trovare parrocchie che investano tempo e soldi per realizzare iniziative culturali. Eccezione lodevole sono alcuni Festival, da Vicenza a Torino, da Bergamo a Milano: il problema è che si limitano perlopiù ad alcuni giorni all’anno. Ben pochi sono entrati nel merito della mia analisi, spesso limitandosi ad osservazioni generali sul rapporto fra cristianesimo e modernità. Senza la pretesa di dare lezioni a nessuno e ancor meno di rivangare antiche polemiche o riesumare progetti del passato, ho voluto solo ribadire un concetto chiave per la presenza storica del cristianesimo in Europa e in Occidente, l’importanza della cultura. Lo hanno ben detto Carlo Ossola su queste pagine e Alfonso Berardinelli sul “Foglio”: entrambi hanno richiamato la centralità della Bibbia come capolavoro della cultura occidentale. Non solo, il primo ha auspicato la ripresa dei «grandi libri che hanno aiutato il credere formando l’uomo», mentre il secondo ha capovolto il discorso, dicendo che «se è vero che la Chiesa ha bisogno della cultura, è anche la cultura ad avere bisogno del punto di vista cristiano». L’incapacità di oggi della fede ad esprimersi in una cultura – che si manifesta nello spaventoso analfabetismo religioso – è indubbiamente collegata alla crisi più ampia della cultura del nostro tempo. Come ha scritto la rivista “ Esprit”, più che di scientisti e nichilisti oggi abbiamo bisogno di poeti e profeti. Lo ha rimarcato anche papa Francesco all’udienza generale del 10 aprile: « Nel nostro confortevole Occidente, che ha un po’ annacquato tutto, avvertiamo una sana nostalgia dei profeti. Ma sono molto rare le persone scomode e visionarie». A ciò si accompagna la mancanza di un pensiero teologico libero e provocante negli ultimi decenni a livello europeo. La teologia si è rinsecchita e il pensiero cattolico ha perduto vitalità. Certamente, il mondo cattolico si è fatto più piccolo. Come intellettuali e come cattolici, siamo meno numerosi e senza dubbio meno brillanti, abbiamo molto meno influenza che in passato sui grandi dibattiti contemporanei. Ma c’è una responsabilità di noi cristiani, una vera e propria “incultura” teologica e filosofica. Il che pare ancor più grave in un momento storico in cui il religioso vive in alcuni casi un ripiegamento identitario. Se penso a film o libri usciti in Italia e sgorgati dal sostrato cristiano capaci di parlare a tutti e di dare chiavi di lettura sul mondo contemporaneo, non mi viene in mente praticamente nulla: c’è una produzione spirituale e teologica di basso livello. Per questo ho parlato di paccottiglia e non me ne pento. Anche Sergio Di Benedetto su “ Vinonuovo” ha lamentato «la povertà culturale diffusa in ambito ecclesiale, l’estetica kitsch, il devozionalismo emotivo». Se devo fare alcuni esempi positivi, il rimando va al film Uomini di Dio di Xavier Beauvois sui monaci di Tibhirine e al recente libro La crisi della narrazione del filosofo Byung-Chul Han. Ma gli autori non sono esplicitamente cristiani. Il che conferma in parte quanto scritto da Davide Rondoni: il cristianesimo si manifesta a livello culturale anche se non è dichiarato esplicitamente nelle intenzioni, è una sorta di humus che respiriamo. Ma l’humus lungo i decenni e i secoli rischia di evaporare se non è sostenuto, alimentato, arricchito. E’ vero che le prime comunità cristiane erano innanzitutto luoghi di novità di fede e di pratica religiosa, come scritto da Costantino Esposito, ma si sono poi poste come segno di contraddizione rispetto alla mentalità dominante perché hanno accettato la sfida della cultura. Oggi la sfida tocca a noi, attraverso la riscoperta dell’immenso patrimonio teologico del cristianesimo e la consapevolezza che l’evangelizzazione si svolge attraverso il bello e il buono. Nel mio articolo del 9 marzo aggiungevo che dinanzi allo spaventoso analfabetismo religioso del popolo italiano, cattolici compresi, occorrerebbe che la Chiesa italiana tutta si facesse promotrice di un’iniziativa di largo respiro per superare l’attuale grave stato di stagnazione. Come hanno rilevato Lorenzo Ornaghi su “Studi cattolici” e Silvano Petrosino su “Avvenire”, un risveglio non può avvenire solo attraverso la pratica – su cui peraltro il mondo cattolico non può prendere lezioni da nessuno - ma esige anche la teoria, un’elaborazione, un pensiero. La fede cristiana non si esprime al di fuori della cultura (o delle culture) e c’è bisogno di un nuovo immaginario della fede che attragga i giovani. Ma è il tempo di spendere alcune righe per una pars construens del nostro discorso. Ricollegandomi a quanto ha scritto Giuliano Vigini, ecco alcune proposte di lavoro:
Università popolare. Ricalcando un poco le esperienze positive delle università della terza età, si tratta di promuovere, su 4-5 temi centrali - storia, arte, letteratura, musica, teologia, filosofia - una serie di lectio in cui ricapitolare e riattualizzare la Weltanschauung cristiana. Lezioni della durata di un’ora, da svolgere pubblicamente in ogni diocesi, ma pure a livello di gruppi, movimenti, associazioni, persino parrocchie, ed anche da lanciare online su una piattaforma ad hoc, tenute da un gruppo di esperti selezionati, in base alla loro competenza ma anche capacità di affascinare e coinvolgere il pubblico. In Francia e nel Regno Unito ci sono esempi cui guardare.
Libro del mese. In un’azione concertata fra mondo della cultura e mondo dell’editoria religiosa, individuare ogni mese un libro – romanzo o saggio – da proporre a tutti i fedeli. Iniziativa che sarebbe facilitata dalla realizzazione di una nuova collana di grandi classici cristiani, oggi spesso dimenticati e in gran parte introvabili nelle librerie.
Stati generali della cultura dei cattolici italiani. L’occasione per un confronto libero e aperto, fuori dagli schemi, senza alcuna volontà di proporre progetti a tavolino ma in nome della più ampia condivisione e collaborazione, allo scopo di enucleare i punti salienti di una lotta all’analfabetismo religioso che imperversa. Sono solo alcune idee, su cui si può concordare o meno ma che partono solo dalla volontà di muoversi, di agire. Pur sapendo che hanno dei limiti e non possono certo bastare. E che ci sono rischi enormi da non sottovalutare e da evitare. «Organismi e realtà legate alla Chiesa - ha detto papa Francesco nel 2020 quando diventano autoreferenziali, perdono il contatto con la realtà e si ammalano di astrazione. Si moltiplicano inutili luoghi di elaborazione strategica, per produrre progetti e linee-guida che servono solo come strumenti di autopromozione di chi li inventa. Si prendono i problemi e li si seziona in laboratori intellettuali, dove tutto viene addomesticato, verniciato secondo le chiavi ideologiche di preferenza». Per questo vanno superate le scontate divisioni fra progressisti e conservatori, così come personalismi e narcisismi. E, sia detto en passant, non è che non debbano o possano esistere le polemiche intra-cristiane, che ci sono sempre state e sempre ci saranno, ma la polarizzazione delle opinioni fa sì che spesso non si riesce a cogliere il positivo in opere o posizioni che si giudica contrarie al proprio punto di vista, se non addirittura nemiche. Ma questo è per me un fenomeno da cui deriva un impoverimento per tutto il pensiero cristiano. D’altra parte, bisogna anche essere capaci di uscire da un complesso di inferiorità che per tanti anni ha colpito i cristiani, non solo per l’arroganza di una certa cultura laicista, ma anche per una incapacità di essere consapevoli dell’originalità della propria cultura. Avere una determinata cultura non è affatto un handicap, una condizione di inferiorità in partenza, anzi deve essere qualcosa di vitale, tenendo presente poi la capacità di saper dialogare con tutti, anche i più lontani, senza escludere nessuno.