Eleonora Fontana sul palco
Mai stare con le mani in mano, mai. Neanche quando cammini con la neve alle ginocchia. In salita, in discesa, con 40 chili sulle spalle. E le mani? Le mani sono buone per fare la calza, ad esempio. Una bella calza di lana. I ferri sulle ampie tasche della gonna. Mille metri di dislivello, abbastanza per una calza all’andata e una al ritorno.Donne carniche. Donne della Prima guerra mondiale. Portatrici come Maria Plozner Mentil. La cui storia di quotidiano eroismo silenzioso viene portata sul palcoscenico, dalla scorsa tarda primavera, in uno spettacolo che mescola le canzoni e la musica di Davide Peron (cantautore ed educatore-pedagogista in una comunità per disabili) e le parole di Eleonora Fontana (attrice della compagnia padovana Teatro della Gran Guardia), con letture e cori di Carla Cavaliere. Stasera Una calza a salire, una a scendere (il titolo adesso è chiaro) fa tappa sull’Altopiano di Asiago, a Lusiana (ex Cinema di piazzale Divisione Acqui, ore 20.30) e l’occasione è preziosa perché bisognerà attendere la prossima primavera per altre repliche.
Il motivo? Semplice: stasera in scena saranno in quattro, con la piccolissima Anita Maria ancora nella pancia di Eleonora Fontana ma pronta a saltar fuori ai primi di gennaio. Dimenticavamo: Davide ed Eleonora sono marito e moglie.La vicenda bella e tragica di Maria Plozner Mentil serve a ricordare, a un secolo di distanza, che le donne combatterono, eccome. Anche se il loro ruolo sarà riconosciuto a denti stretti, poi premiato ma in ritardo. «In una tappa del mio Mi rifugio in tour racconta il vicentino Peron, che ama cantare nei rifugi delle sue Piccole Dolomiti – ho chiesto alla giornalista Chiara D’Ambros di leggere dei testi sulla guerra, contro la guerra, dalla parte delle donne. Sapevo che avevano avuto un ruolo importante, ma non avevo mai approfondito il tema. Chiara ha proposto la storia della portatrice carnica Maria ed Eleonora se ne è subito innamorata».Eleonora è Maria, Davide canta alcune sue canzoni, da Na stela alpina a Le forme sante, da Per ogni guerra («Preferisco di gran lunga il volo degli uccelli / non di certo quegli aeroplani neri per la guerra») a La vita lenta nei campi dove una madre piano, con mesta delicatezza, evoca il figlio svanito nel gorgo di una guerra lontana («Era di domenica, me lo ricordo bene. / cadevano le foglie tutto intorno, /avevano appena chiamato con le campane / ma lui forse non le sentì»).«Il testo è cucito addosso a me – spiega Eleonora – e di questo sono grato a Chiara. In tutti i miei lavori è presente una forte carica emotiva e un fortissimo senso di umanità. Maria Plozner? Ha la forza di andare avanti sempre. È una donna forte che non si vergogna delle proprie debolezze. E forse per questo riesce a dare forza alle sue compagne».
Compagne poco più che bambine, compagne nonne. Con la gerla carica di munizioni e cibo e panni lavati e lettere. Salire e scendere, scendere e salire; e cucine calze, perché non sta bene stare con le mani in mano. «Quell’ultimo giorno una sua figlia mi chiede di non andare, ma io niente, il dovere mi chiama, vado». Maria non tornerà più. Un colpo solo, forse un cecchino infiltrato dietro le linee italiane, non lo sapremo mai.Una storia dura, quella di Maria Plozner Mentil. Orfana di un padre boscaiolo morto da emigrato in Romania, Maria nasce, cresce e si sposa a Timau, una frazione di Paluzza, nella Carnia più a ridosso dell’Austria, dove si parla un dialetto di origini carinziane che, assomigliando al tedesco, induce in sospetto le autorità italiane. Prima allontanati dal fronte, poi riportati in paese, gli abitanti di Timau (donne, vecchi e bambini: gli uomini tutti al fronte) devono però prestare servizio nell’esercito rifornendo la prima linea. Ci pensano le donne, che trasportano le gerle da 40 chili di peso avanti e indietro, su e giù, senza sosta.Avviso agli spettatori: «Lacrime. A ogni replica tante lacrime – sospira Davide –. Scendono le lacrime e poi scrosciano gli applausi che non finiscono più. Ovunque».
E la coppia Peron-Fontana, dopo il debutto "in casa" a Pianezze di Marostica, ha viaggiato: da Napoli ad Auronzo, da Roma a Macerata. «E sempre – aggiunge Eleonora – ci siamo sentiti dire: non conoscevamo questa storia». Soprattutto al sud: «La Grande guerra è roba lontana – commenta Davide – specialmente dove non è stata combattuta. Per questo va raccontata, tante e tante volte. La memoria non deve mai essere persa, mai. Se la perde, l’uomo non ha capito niente e questo fa male. Eppure, quanto facilmente dimentichiamo».La storia della portatrice carnica, una delle più di duemila arruolate tra l’agosto del 1915 e l’ottobre del 1917, dai 12 ai 60 anni di età, è solo una delle tante donne in guerra che stanno a cuore a Eleonora: «Nella vicenda di Maria Plozner sento forte il senso della fatica. Il dolore? Il dolore è altra cosa. Qui c’è il volersi rendere utili alla patria e ai propri uomini al fronte. E c’è una fatica oggi difficile, forse impossibile da comprendere». Portatrici della Carnia: mille metri in salita, mille in discesa. Con la neve e con il sole. In alto ad aspettare sono i soldati. In basso i figli. Per una lira e mezza (quattro euro) a viaggio. Ricordarle è un dovere, piangerle un onore.