sabato 28 marzo 2015
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Oggi moviolista Rai in tv, con il compito di dare conto degli scivoloni più o meno evidenti degli arbitri della Serie A. Ieri giacchetta nera tra le più promettenti del calcio italiano, tanto da ricevere i galloni di "internazionale". Nel mezzo, la bufera di Calciopoli, che nella primavera del 2006 sgonfia il pallone di casa nostra a pochi mesi dal Mondiale tedesco. Per l’arbitro toscano Tiziano Pieri, tra gli imputati della prima ora del processo sportivo e penale, fu un periodo travagliatissimo sotto il profilo professionale e personale, soltanto in parte riveduto e corretto dalla recente sentenza della Cassazione, che dopo nove anni mette (forse) fine a una delle pagine più buie dello sport tricolore.Chi era l’arbitro Pieri prima di Calciopoli?«Ero un ragazzo molto diverso dall’uomo che sono oggi, perché questa brutta storia mi ha fatto maturare moltissimo. Ha distrutto l’arbitro, ma ha fatto nascere una persona nuova. Ho dovuto affrontare anni di processo. Ed è solo grazie ai miei figli e a mia moglie Silvia che sono riuscito a far fronte a un’accusa che distruggerebbe chiunque. Ho passato un periodo nel quale ero depresso, angosciato, perché non capivo cosa stesse succedendo. Sapevo di non aver fatto nulla di male e non riuscivo ad accettare quanto mi stava accadendo. Poi ho trovato il coraggio per rialzarmi e combattere». Nel dicembre 2012, è stato assolto dal reato di associazione a delinquere. Lei, con Luciano Moggi e le sue schede svizzere di cui tanto si è parlato nel corso del processo, non c’entrava nulla. «Io parlavo con i miei designatori di allora, prima e dopo le partite. Tutte le domeniche. Ma nelle registrazioni depositate nel processo di primo grado non c’era traccia delle mie telefonate. Assurdo, come era possibile? Queste telefonate, non si sa bene perché dimenticate, hanno poi confermato la mia buona fede, come è stato sottolineato dal giudice dell’Appello, che è andato addirittura oltre. Ha detto infatti che qualora avessi ricevuto delle pressioni, non le avevo raccolte. Come dire, due volte innocente. Tanto è vero che la Cassazione ha dovuto rigettare il ricorso della Procura di Napoli contro la mia assoluzione». Eppure, il suo ex collega De Santis ha recentemente dichiarato che parlare con i dirigenti delle società era una "prassi"... «Ho ascoltato le intercettazioni nelle quali i designatori parlavano con moltissimi dirigenti. Come ho ascoltato la registrazione di conversazioni tra l’arbitro Collina e due responsabili del Milan, Adriano Galliani e Leonardo Meani (ex addetto agli arbitri del club rossonero, ndr). Insomma, era lecito parlare con i referenti delle società, le regole lo consentivano. Ma io non l’ho mai fatto. Ripeto, mai. Perché non lo ritenevo corretto. Meglio, lo consideravo inopportuno. Avevo un amico, ex arbitro della Serie C, che diventò dirigente di una società importante. Gli dissi: non offenderti, ma è meglio se ci sentiamo a fine campionato. Ecco come la pensavo». La Cassazione ha detto che il sistema per alterare il risultato delle partite c’era. Ma due soli arbitri sono stati condannati. Per molti altri personaggi, tra i quali Moggi, Giraudo, Pairetto e l’ex vicepresidente della Figc, Mazzini invece la prescrizione è sembrata una specie di assoluzione...«Io ho scelto di essere giudicato con il rito abbreviato. Che è un rischio per l’imputato, perché ha meno possibilità di difendersi. Il mio stesso avvocato era contrario ma io volevo tornare in campo. Sapevo di essere innocente e desideravo arrivare il prima possibile alla sentenza. Per questo ho rinunciato alla prescrizione. Volevo dimostrare ai miei figli che chi nasce quadrato non può morire tondo. I prescritti? Giudicherò la sentenza dopo aver letto le motivazioni. Dico solo che andrebbero rivisti i tempi della giustizia ordinaria».Moggi ha detto: “Abbiamo scherzato per 9 anni, il processo si è risolto in nulla e tanti sono stati rovinati”. Lo pensa anche lei?«No, io non ho scherzato, tutt’altro. Perché per me il processo è stato una cosa seria. E ho pagato il conto pur essendo totalmente innocente. Ho passato anni terribili, l’accusa di associazione a delinquere mi aveva chiuso tutti gli spazi. Nessuno si fidava più di me. Non mi vergogno a dirlo, per qualche tempo ho fatto anche il cameriere perché dovevo dare da mangiare a due bambini. Per carità, so di non essere un supereroe perché problemi come questi li affrontano tutti i giorni milioni di italiani. Ma sono felice di aver insegnato ai miei figli come ci si rialza dopo un colpo del genere». Il testimone chiave dell’accusa, Teodosio De Cillis, titolare della rivendita di Chiasso nella quale Moggi avrebbe acquistato le schede telefoniche, sarà processato per falsa testimonianza. Lo considera una rivincita personale?«Risponderà nei tribunali di quello che ha detto e fatto. Era il teste principale dell’accusa. Per anni, i magistrati hanno sostenuto che le sim svizzere fossero la chiave di volta del processo: una tesi che è crollata miseramente». Perché allora avrebbe dovuto inventarsi tutto?«L’ho denunciato perché se glielo avessi chiesto non mi avrebbe mai risposto. Lo dirà al giudice. Ho girato pagina, ho reagito e ho dimostrato come stavano realmente le cose. Ora voglio che mi venga spiegato perché ho dovuto subire tutto questo». Ma se ai tempi fosse stato a conoscenza di manovre poco chiare fuori e dentro il campo, avrebbe denunciato i responsabili?«Certo che sì, con tutto quello che ho dovuto passare... Ma come si può pensare che fosse possibile avvicinare un arbitro per proporgli le cose di cui si è parlato? Stiamo scherzando?». Be’, per molti anni si è pensato invece che fosse una consuetudine. Il processo di Calciopoli, in fondo, è nato anche e soprattutto per fare luce su questa intuizione. «Il processo ha visto assolti quasi tutti gli arbitri. Sembrava che Calciopoli fosse diventata “Arbitropoli”, ma le sentenze hanno dimostrato un’altra cosa, perché il presidente dell’Aia (Tullio Lanese, ndr) è stato assolto. La verità è che questo processo non si doveva fare. Meglio, si poteva fare a livello sportivo, perché ci sono stati probabilmente rapporti sbagliati. Ma non c’è mai stata la compravendita degli arbitri. La prima udienza del processo si è tenuta nell’aula che era stata utilizzata per i maxiprocessi di Camorra. Dopo 9 anni invece, sul banco degli imputati sono rimaste cinque o sei persone. C’è qualcosa che non torna». La richiesta di risarcimento danni di 443 milioni di euro presentata dalla Juventus al Tar è stata giudicata "una lite temeraria" dal presidente della Federcalcio, Carlo Tavecchio. Lei da che parte sta?«Se nelle motivazioni della sentenza sarà escluso ogni addebito alla Juventus, non vedo perché la società bianconera, se si ritiene danneggiata, non debba chiedere un risarcimento. E questo vale per tutti, anche per me». Cosa ci lascia in eredità Calciopoli ?«Non sono d’accordo con chi dice che sia venuto il momento di girare pagina e di lasciarsi alle spalle il processo con tutto quello che ha rappresentato. Io voglio che se ne parli ancora. Perché se sono stati fatti degli errori, è giusto che si trovi il modo di non ripeterli. Mi sembra però che a livello generale non sia cambiato niente. Anzi, Calciopoli purtroppo ha contribuito ad aumentare i pregiudizi nei confronti degli arbitri, la classe meno protetta del movimento, perché nessuno li difende. Credo che sia arrivato il momento che l’Aia si apra al pubblico. Gli arbitri non devono più nascondersi, non se lo meritano».
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