Una postazione difensiva tedesca sul monte di Portofino con struttura a guscio di tartaruga
Ogni estate, dal 1938 fino al 1942, Eva Braun, la “favorita” del Führer, veniva a villeggiare a Portofino, con la madre Franziska e la sorella Gretl. Le blasonate ospiti teutoniche scendevano all’Hotel Splendido, nella perla del Tigullio, e prendevano bagni di mare e di sole nella piccola baia di Paraggi. Compivano anche escursioni, in barca, a Rapallo, Santa Margherita, San Fruttuoso e Camogli. Mentre il “signore della guerra”, Adolf Hitler, pianificava le sue strategie di morte e di distruzione, la vita delle Braun – già in occasione del loro soggiorno marino del 1941 – era protetta da installazioni difensive fortificate realizzate dalla 201ª Divisione costiera del Regio esercito italiano. Il Monte di Portofino, polmone verde di raro pregio ambientale, venne così a essere munito di postazioni di artiglieria antiaerea e antinave, che costituirono la 202ª Batteria di Punta Chiappa, dal nome del promontorio roccioso che getta in mare la sua alta scogliera tra Camogli e San Fruttuoso. A queste strutture difensive ha dedicato un attento saggio lo studioso di architetture militari Gianfranco Coari, che per l’editore Geko ha dato alle stampe Bunker della guerra sul Monte di Portofino (pagine 80, euro 15,00), oggetto di una recente riedizione. Coari non soltanto ha ricostruito le vicende della Batteria di Punta Chiappa, ma, attraverso documenti inediti attinti all’Archivio federale di Friburgo, in Germania, ha seguito il consolidamento di queste istallazioni militari dopo l’occupazione tedesca del nostro Paese, avvenuta a seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943.
La prima cosa che il lettore profano verrà a scoprire è che, in larga parte, il Monte di Portofino conserva tuttora questi reperti di ingegneria bellica, tra i quali spiccano i lunghi bunker sotterranei scavati nella roccia. Ma l’aspetto più interessante riguarda la straordinaria attenzione che il Terzo Reich dedicò a questi capisaldi difensivi, a partire dall’autunno del ’43, quando agli italiani, nella Batteria di Punta Chiappa, subentrarono uomini e mezzi del 619° Battaglione dell’artiglieria costiera della Marina tedesca, la Kriegsmarine. Sotto la direzione della Todt, i germanici modificarono gli assetti delle installazioni precedenti, per adeguarli ai loro severi standard costruttivi. Le opere più significative realizzate a Punta Chiappa, furono i sistemi di protezione “in casamatta” dei cannoni antinave. Due delle tre postazioni esistenti, furono sormontate da calotte in cemento armato con muri e copertura dello spessore di 2 metri. Questi frontoni, a gradoni rovesciati, sono detti comunemente “a guscio di tartaruga” e rappresentano il simbolo delle fortificazioni naziste. Per la costruzione di ciascuna casamatta furono impiegati 450 metri cubi di cemento armato e 15 tonnellate di acciaio, fatti risalire dal mare con sistemi d’avanguardia. Manufatti del genere permettevano di deviare i proietti sparati dagli attacchi navali nemici. Aggiunge l’autore: «Questi due bunker erano dotati di impianti di estrazione dei fumi residui dallo sparo del cannone antinave. Un efficace congegno di aspirazione permetteva al fumo di essere rilasciato all’esterno della casamatta, grazie a un sistema di tubature ed estrattori azionati elettricamente».
Tali impressionanti “mostri” della tecnologia militare costituiscono un segmento superstite, tra i più notevoli, del “Vallo Ligure”: una linea fortificata antisbarco che fu tra le principali opere difensive tedesche nella Penisola. Resta da raccontare quando le postazioni di Punta Chiappa entrarono in azione, al di fuori delle normali esercitazioni di tiro. La prima occasione si presentò il 28 febbraio 1943, quando il complesso era ancora servito dal Regio esercito. Quel giorno, il sommergibile britannico HMS Torbay affondò il mercantile da carico Ischia, in navigazione tra La Spezia e Genova, nel settore di mare antistante Punta Chiappa. In tale circostanza, i cannoni antinave spararono contro l’unità subacquea inglese, tuttavia senza infliggerle danni. In seguito le mitragliatrici della Batteria diressero il tiro contro una formazione di apparecchi da caccia della Raf di passaggio sullo spazio aereo sovrastante il Monte di Portofino. Coari ha trovato a Friburgo documentazione ri- guardante altri episodi in cui i cannoni aprirono il fuoco su incrociatori nemici avvistati al largo delle coste ligure, ma, al riguardo, nel suo libro, non offre ulteriori dettagli. Per il resto, il periodo della presenza a Camogli e a Punta Chiappa fu, per i soldati tedeschi, tra i più ameni dell’intero conflitto. I germanici fecero pesare la loro autorità di invasori, confiscando non di rado presso la popolazione rivierasca pesce, olio d’oliva e altri generi alimentari. Per porvi riparo, i civili si trovarono costretti a nascondere, sotto terra, le bottiglie d’olio. I soldati della Kriegsmarine lasciarono la zona il 26 aprile 1945 e già nell’estate successiva la Batteria venne smobi-litata, e i pezzi portati via.
Negli anni successivi, i bunker divennero preda degli agenti atmosferici, dell’incuria, e degli atti vandalici. Ma molto si è conservato. Prova ne sia che Coari stesso pubblica l’immagine curiosa di un pacchetto di sigarette delle forniture per la Wehrmacht, marca Imperium Dresden, reperito nei siti della Batteria di Punta Chiappa. Nelle ore in cui Eva Braun si preparava morire, suicida, nel bunker della cancelleria di Berlino, con l’effimera identità di “signora Hitler”, chissà se sarà tornata per un breve istante, con la memoria, ai giorni felici, e perduti, delle sue estati portofinesi.