Per quattro stagioni e fino al 30 giugno scorso è stato l’uomo che decideva chi avrebbe arbitrato tutte le partite di Serie A. Ora Stefano Braschi ha iniziato il corso per direttore sportivo, assieme agli ex arbitri Bertini e Dondarini, entrambi condannati per Calciopoli e poi riabilitati. Braschi, perchè è sui banchi di Coverciano?«Per cultura personale. Sto in questo mondo e voglio affinare le conoscenze».Al suo posto c’è Domenico Messina...«Ho grande rispetto nei confronti di chi è arrivato. Ho avuto bei riconoscimenti da arbitri e società, il mio bilancio personale è positivo. Sono stati 4 anni logoranti, con turbolenze normali. Non c’è mai stato un momento di difficoltà».Neanche con il gol fantasma di Muntari, in Milan-Juventus 2011-2012?«L’assistente sbagliò perchè si era trovato nella necessità di controllare contemporaneamente due particolari: un giocatore era uscito dal fondo e allora prestava attenzione a quella situazione non usuale per verificare il fuorigioco e così perse di vista la palla che stava entrando. Si trattò di un errore importante, il Milan comunque capì la difficoltà dell’evento. Ci fosse stato l’arbitro addizionale, l’avrebbe visto e non ci sarebbe stato nessun problema. Dalla stagione successiva sono stati aggiunti due uomini, con buoni risultati».Da designatore ha mai pensato alle dimissioni?«Perchè avrei dovuto? Le situazioni contestate rientrano nella normalità».In Inter-Parma del 1999, quando ancora arbitrava, espulse in sequenza per proteste tre interisti: Bergomi, Colonnese e Javier Zanetti. Per l’argentino fu il primo dei soli due cartellini rossi in carriera...«Fu una partita particolare, fece molto scalpore. Arbitrando si devono prendere anche decisione impopolari, quella volta accadde».Com’era la giornata del designatore?«Operativo e rintracciabile dalle 8 alle 24. Facevo un altro mestiere, l’agente di commercio, una professione che naturalmente ha sofferto, perchè designare porta via tempo».Ma perchè quella scelta?«Ero uscito dall’ambiente e poi avevo ricominciato daccapo, dalla sezione di Prato. Facevo l’osservatore di bambini, finchè Luigi Agnolin mi volle presidente della Can Toscana, per 3 anni, poi feci una stagione alla Can Pro. Quando Collina passò in Europa, hanno pensato a me».Ora gli ex squalificati Dondarini e Bertini otterranno la riabilitazione pubblica?«Non sono più arbitri. Non vedo Dondarini da una vita, mi dicono faccia l’albergatore a Bologna. Il corso da ds significa che ambiscono a rientrare».È favorevole alla moviola in campo?«Lo chieda a chi fa l’arbitro adesso, io voglio uscire in punta di piedi. Certo che arbitrare senza non è così semplice. A volte si indovina, altre si sbaglia».L’Italia “presta” ancora arbitri all’estero?«Certo, in Qatar, Arabia Saudita, Egitto, Bulgaria, Romania. In genere mandiamo fischietti internazionali, a rotazione».Forse la categoria allora non è così scarsa come si vuol far credere...«In luglio Nicola Rizzoli ha arbitrato la finale mondiale. È stato un grande orgoglio, e conferma che gli arbitri italiani globalmente sono i più forti. Ci siamo goduti questa grande vetrina per il movimento, il comitato nazionale e la federazione».
Paolo Bergamo, ex braccio destro di Pairetto, tempo fa spiegò ad Avvenire che non gli telefonava solo Moggi…«A me non ha mai chiamato nessuno, veramente, e per questo ero tranquillissimo. Magari si facevano vivi per gli auguri, ma mai per lamentele. I dirigenti dopo Calciopoli hanno rispettato le regole».Però non c’era più il sorteggio arbitrale...«No, la mia era designazione pura. Ruotavo gli arbitri, evitando solo di far dirigere la squadra della provincia di residenza».Cos’è mancato alla sua carriera?«Arbitrare ai Mondiali. La scelta era fra me e Collina, lui era il migliore e c’era posto solo per uno. Io mi sono accontentato della finale di Coppa delle Coppe, di Champions League e del Mondiale per club».Ci racconta la sua famiglia nutrita?«Mia moglie Paola, ex bancaria, fa la casalinga, ha cresciuto i tre figli adottivi: Roger, 20 anni, ora attaccante del Lumezzane, in Lega Pro, Jessica (19) e Priscilla (17) che studiano. Arrivarono dal Brasile a 5, 4 e 2 anni. Roger aspira a diventare calciatore professionista, è bravino, ma come tanti, a quell’età, magari finirà per giocare per divertimento e basta».Lei aveva anche giocato?«Sino alla promozione, in provincia di Firenze, ero un medianaccio. Andavo a scuola e vidi la locandina di un corso per arbitri, avevo 17 anni e la lucidità di capire che non sarei andato oltre i dilettanti regionali. Allora mi inoltrai in questo mondo fatto di sezioni, vecchi accompagnatori e persone perbene. Per poche stelle, ci sono tanti a tirare la carretta. Se prima la carriera al top durava 12-13 stagioni, adesso sono scesi di un paio, serve il ricambio».Quanto ha guadagnato?«In soddisfazioni tanto. Non hanno prezzo. In assoluto forse anche poco, resto però molto fortunato, ho sempre fatto quel che volevo».Ora è migliorato il rapporto degli arbitri con giocatori e allenatori?«Sul campo certamente. C’è un’apertura mentale anche degli arbitri, disposti a capire i protagonisti, andremo sempre a migliorare la collaborazione».Visto quello che è successo in Juve-Roma, non si direbbe. Il panorama del nostro pallone non le pare sconfortante?«Diciamo che presidente federale Tavecchio ha un compito molto difficile. Il calcio ha problemi in generale, di forma, economici e di strutture. In più non siamo stati in grado di organizzarci e gli impianti sono arretrati rispetto al mondo che conta. Però il nostro pallone ha un temperamento incredibile, attenzione e partecipazione che altri Paesi faticano a mostrare nei tornei chiave. Due mondiali di fila sono stati negativi, neanche prima però la situazione era così florida. Ora tutto sommato vedo voglia di ripartire».