sabato 28 aprile 2018
Nei suoi racconti paradossali il grande scrittore argentino ha esplorato la mente di chi è incapace di dimenticare, anticipando le ricerche delle neuroscienze
Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges (Ansa/Sara Facio)

Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges (Ansa/Sara Facio)

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Il 7 giugno 1942 il quotidiano argentino “La Naciòn” pubblicava un racconto di Jorge Luis Borges, Funes el memorioso: il contadino Ireneo Funes, dopo una caduta devastante che gli aveva procurato un trauma cranico, recupera la memoria e con essa l’incredibile facoltà di ricordare tutto, ma proprio tutto: «tutti i rami e i grappoli di un pergolato, la forma delle nuvole australi dell’alba del 30 aprile 1882, il tracciato della schiuma che un remo sollevò dal Rio Negro alla vigilia dell’impresa di Quebracho». Verso la metà del racconto el memorioso afferma: «Ho più ricordi io da solo di quanti ne avranno avuti tutti gli uomini da quando il mondo è mondo». Ma prima di invidiare Funes, e di considerare una memoria totale come un dono, è bene riflettere che questa facoltà può trasformarsi in una maledizione (non per nulla Elias Canetti scrisse: «Gradi della disperazione: non ricordarsi di nulla, ricordare qualcosa, ricordare tutto», e Funes: «La mia memoria è come uno scarico di immondizia»).

Prendendo lo spunto dallo straordinario racconto di Borges, di cui non posso qui neppure riassumere la ricchezza e la profondità, e di cui non posso che raccomandare la lettura, il neuroscienziato Rodrigo Quia Quiroga ci offre in Borges e la memoria (Erickson, pagine 180, euro 17,50) uno stimolante resoconto dell’intreccio tra scienza e narrazione, riportando alcuni casi reali di uomini dotati di una memoria sconfinata, dall’uomo che non dimenticava nulla, Solomon Šereševskij, studiato dallo psicologo russo Aleksandr Lurija (1902-1977), all’americano Kim Peek, che conosceva il contenuto di circa 12mila volumi e che dimostrò di poter leggere otto pagine di libro in cinquantatré secondi ricordando il 90% del loro contenuto. Fu Kim Peek (che molti chiamavano Kimputer) a ispirare il personaggio di Raymond Babbitt, un autistico dotato di eccezionali capacità di calcolo e di memoria, interpretato da uno straordinario Dustin Hoffman nel film del 1988 L’uomo della pioggia di Barry Levinson.

Ma queste “macchine mnemoniche” presentano alcune gravi limitazioni, che rendono la loro memoria totale un dono tossico. Nel 1887 lo psichiatra inglese John Langdon Down tenne una serie di conferenze in cui illustrò la disabilità mentale che porta il suo nome ed espose una decina di casi analoghi a quello di Raymond Babbitt, per i quali coniò la locuzione “idiots savants”. Questi idioti sapienti sono in grado, come Peek, di imparare a memoria in brevissimo tempo un libro, ma non riescono a comprenderne il contenuto: non sanno compiere nessuno sforzo immaginativo o rintracciare la trama logica che sottende il contenuto, per cui spesso non sanno rispondere a domande che per un lettore ordinario sono semplicissime, sicché doppi sensi, ambiguità e interpretazioni multiple sono fuori della loro portata.

Forse perché aderisce troppo intimamente al contenuto letterale e ai minuti particolari, la loro mente non è in grado di elaborare i dati per ricavarne nozioni astratte. Come Peek, anche Šereševskij era incapace di elaborare concetti generali: la sua adesione ai particolari e la sua capacità mnemonica erano basate su una fortissima sinestesia, cioè sull’associazione tra parole, colori, forme e immagini. Ma queste relazioni, col tempo, diventarono talmente numerose da trasformarsi in un incubo, poiché Šereševskij non riusciva a dimenticare nulla e, incapace com’era di prendere le distanze per coordinare i dati in base a una struttura, cominciò a far confusione tra i suoi ricordi. Come notò William James nei suoi Principi di psicologia (1890), non ci può essere equilibrio mentale se la memoria non è accompagnata da una sana capacità di dimenticare, di distaccarsi dai minuti particolari e di formare una visione più elevata.

Anche Funes (potenza dell’intuizione di Borges!) era afflitto da questi problemi: «Aveva imparato senza sforzo l’inglese, il francese, il portoghese e il latino, ma sospetto che non fosse molto capace di pensare». Ai concetti corrispondono i sostantivi generali, espressi dai nomi comuni, senza i quali saremmo costretti a coniare un nome per ogni oggetto e, per uno stesso oggetto, un nome per ogni istante della sua esistenza: «Funes progettò una volta una lingua analoga, ma la abbandonò perché gli sembrava troppo generica, troppo ambigua. In effetti Funes ricordava non solo ogni foglia di ogni albero di ogni bosco, ma ognuna delle volte che l’aveva percepita o immaginata». L’assenza di logica, l’incapacità di saltare a un livello superiore di concettualizzazione porta el memorioso a costruire un sistema di numerazione singolare: «Invece di seimilatredici, diceva (per esempio) Màximo Pérez, invece di settimalaquattordici, La ferrovia, altri numeri erano Luis Melàn, zolfo, le carte di bastoni, la balena, il gas, Napoleone. Invece di cinquecento diceva nove».

Importante per Borges, come per James, è la categorizzazione, la generazione dei concetti, indispensabili per pensare e per vivere con agio in questo mondo multicolore e pieno di stimoli. Ma, operando una delle sue geniali torsioni del senso comune, Borges ci fornisce, nel racconto L’idioma analitico di John Wilkins, un esempio bizzarro ed esilarante di categorizzazione insensata che trasgredisce le regole della suddivisione corretta. Lo scrittore afferma di averla tratta dall’enciclopedia cinese (apocrifa) Emporio celestiale di conoscenze benevole: «Nelle sue remote pagine è scritto che gli animali si dividono in a) appartenenti all’Imperatore; b) imbalsamati; c) ammaestrati; d) lattonzoli; e) sirene; f) favolosi; g) cani randagi; h) inclusi in questa classificazione; i) che si agitano come pazzi; j) innumerevoli; k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello; l) eccetera; m) che hanno rotto il vaso; n) che da lontano sembrano mosche».

Mi sono soffermato sulle parti del libro rese succulente dal contrappunto tra le intuizioni di Borges e le conquiste progressive della neuroscienza, ma ovviamente il volume contiene anche pagine assai interessanti sull’organizzazione cerebrale della memoria, sui diversi tipi di memoria e sulla loro ubicazione, sul rapporto tra percezione e memoria, sulla neurofisiologia della visione e altro ancora. Lascio al lettore il piacere di addentarsi in questo territorio affascinante, in cui si esercita quotidianamente la paziente opera dei ricercatori.

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