mercoledì 8 novembre 2023
Il 13 novembre compie 80 anni il bomber azzurro degli anni '60-'70. Una carriera da incorniciare, piena di gol e di emozioni, con un solo rimpianto: "Vorrei rigiocare la finale del '70 Italia-Brasile"
Roberto Boninsegna con la maglia dell'Inter in un "duello" con lo juventino Morini

Roberto Boninsegna con la maglia dell'Inter in un "duello" con lo juventino Morini

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Boninsegna il 13 ne fa 80 Cresciuto in oratorio con gli “Invincibili”, poi al Cagliari con Riva, il ritorno all’Inter, la Juve... Un solo rimpianto: «Rigiocherei quella finale contro Pelè» «Ancora tu…», di Lucio Battisti potrebbe essere la colonna sonora di vent’anni di incontri, mai casuali, con Roberto Boninsegna, per il popolo degli stadi l’unico ed eterno “Bonimba”. La prima volta è stato l’autunno delle sue 60 primavere, nella sua Mantova, sul prato verde dell’ex velodromo Learco Guerra (oggi stadio Martelli), dove nel ’63 scattò il Giro d’Italia. Ci siamo scattati una foto, non un selfie, che custodisco gelosamente: in posa vicino a quel palo dove pianse lacrime amare il portiere Sarti, il giorno della grande disfatta interista del '67, poi c’è stata quella del 5 maggio 2002 con la Lazio… Ma questi sono ricordi tristi, inadeguati per augurare buon compleanno a un monumento del calcio nazionale che il 13 novembre compie 80 anni. L’ennesimo incontro lo ha combinato l’arcimatto breriano , il suo quasi coscritto Adalberto Scemma, al Liceo Sportivo Seghetti di Verona, dove a omaggiarlo oltre a una straordinaria platea di studenti entusiasti (senza cellulare in mano), c’erano due tifosi speciali di “Bonimba”: vescovo di Verona Domenico Pompili, tifoso di quel Cagliari in cui Boninsegna faceva coppia con “Rombo di tuono” Gigi Riva e il vescovo di Parma Enrico Solmi, innamorato dell’Inter fin da quando portava i calzoni corti. Stessa fede coltivata fin da piccolo anche da Bobo gol che la prima casacca nerazzurra se la fece cucire dalle mani di mamma Elsa: «Ma sembravo un fantino del Palio, perché la fece tutta azzurra davanti e nera di dietro».

All’oratorio con gli “Invincibili”

Erano gli anni dell’oratorio e dei primi gol segnati con la maglia degli “Invincibili” del Sant’Egidio. Lì, in quella parrocchia mantovana, nel 1952 venne fondata la squadra che fu l’orgoglio del vicario, don Sergio Negri e del fido don Nardino Menotti, «gli assistenti spirituali che uscivano dalla grazia di Dio solo in occasione dei derby feroci contro gli Aquilotti». Erano stati loro i primi storici “invincibi-li”, i rivali della formazione del collegio degli orfani confinante con il campo del Sant'Egidio, l'Anconetta. «Una squadra in cui il Bobo era partito da mediano e poi promosso mezzala, ma il più forte tecnicamente era Giancarlo Fornasari», ricorda Scemma, capocannoniere del Sant’Egidio e Bonimba conferma: «Metà di quella nostra formazione poteva tranquillamente aspirare alla Serie A assieme a me». A cominciare dal portiere, Giancarlo Sganzerla, lo “Stildo”, la volpe, il più passionale e generoso di tutti, nato nell’ “etiopico” quartiere popolare Tigrai, si è perso nel dilettantismo e una vita da rottamaio, prima della morte precoce che l'ha portato via da noi».

Bobo, il figlio della classe operaia

Per la gente di Mantova è rimasto sempre il Bobo. Sensibilità del ragazzo che non ha mai dimenticato le sue origini operaie. «Papà Bruno, comunista e sindacalista, aveva lavorato da saldatore alle cartiere Burgo, e lì forse c’aveva lasciato anche la salute: è morto a 61 anni per via delle esalazioni del gas e delle polveri della cartiera» spiegava Bonimba il giorno del suo 70° compleanno quando ai salotti mondani e alle celebrazioni ampollose preferì andare davanti ai cancelli della fabbrica per protestare con i 180 operai cassaintegrati della Burgo. Era lì anche per onorare la memoria di un padre che era stato il terzino della squadra aziendale. «Papà giocava, ma la vera tifosa di calcio in casa nostra era mamma, Elsa. Ogni domenica era fissa al Martelli a seguire il Mantova. Ha cominciato a portarmi allo stadio che era incinta. Al nono mese il custode la vede e gli fa: “Oh, signora Elsa, domenica prossima, però, è meglio che va all'ospedale, altrimenti questo bambino nasce qua...».

All’Inter a 14 anni, poi il “Mago” lo boccia

Ma con la squadra del cuore di mamma Elsa, il Mantova, Bobo non ha mai giocato. A 14 anni, Eligio Vecchi dell’Inter ne intuisce il talento e se lo porta a Milano. Alla Pinetina lo attende un mantovano di Suzzara, Italo Allodi, il padre di tutti i ds italici, il quale non fa sconti al giovane Bobo. Dopo cinque stagioni di settore giovanile all’esame per entrare in prima squadra arriva la bocciatura del “Mago” Helenio Herrera. «Allodi sarà stato anche un gran dirigente, ma con me si comportò male. Dopo il prestito al Prato torno a Milano e mi dice: “Adesso o vai al Potenza o puoi anche smettere...”. Se il “Cristo” di Carlo Levi si era fermato a Eboli, a testa bassa Boninsegna proseguiva fino a Potenza. Risalita a Nord, nel Varese, prima di trovare la sua dimensione e il suo profeta: il Cagliari di Scopigno.

Il Cagliari di Scopigno, la bottega di filosofia

«Scopigno è stato il miglior allenatore che ho incontrato nella mia carriera. Penso avesse dentro la filosofia dell'uomo giusto, quello che capisce tutto prima. Gli bastava uno sguardo per farsi capire dagli altri... Questa la racconto sempre (si rivolge ai ragazzi del Seghetti): eravamo in ritiro, quando nel cuore della notte piombò all'improvviso nelle nostre stanze mentre si giocava a carte. Un cortina di fumo, c'era più di mezza squadra che stava lì a giocare e fumare. Scopigno nel gelo più totale, ci fissa uno ad uno e dice: “Disturba se fumo una sigaretta?”... Noi smettemmo immediatamente e andammo tutti a dormire. Ecco, questo era Scopigno... Fu lui a dirmi che il Cagliari mi cedeva: “Qui ci sono problemi di soldi, quindi o tu o Riva, ma Riva vuole restare a Cagliari”. Io gli risposi: d'accordo, ma a una condizione, o mi fate tornare all'Inter o niente! La spuntai alla grande». “Rombo di Tuono”, un amico o un rivale? «Io e Riva per due anni siamo stati come fratelli, sempre insieme dalla mattina alla sera, poi al terzo mi sono sposato e la coppia si è sciolta. Qualcuno cominciò a scrivere che non ci sopportavamo più. Falso. Non nego che in campo ci siamo mandati a quel paese un sacco di volte, ma era normale: due mancini, due attaccanti di personalità ed egoisti come nessun altro sotto porta. Vivevamo per il gol, ma sapevamo anche vivere a differenza di tanti giovani di oggi ai quali manca la cultura dell’oratorio, per questo si bruciano tutto così in fretta. Gigi, che ha fatto gli anni ieri (79, uno meno di me), resta sempre un amico e quelle poche volte che lo rivedo mi riporta indietro a quei meravigliosi anni '70».

E Gianni Brera inventò il bomber “Bonimba”

«Un giorno Gianni Brera scrisse di me chiamandomi “Bonin-Bagonghi”. Bagonghi era il nano agile del Circo Togni. Mi vedeva nano ed ero più alto di lui, ma al tempo stesso elogiava la mia agilità e il mio senso del gol. Scrivono 163. ma in realtà sono 168, perché 5 gol me li hanno tolti. Persi anche un titolo di capocannoniere. Oggi con il Var non accadrebbe. Era il '74, a Cesena tiro una punizione e la palla entra, ma c'è una deviazione della barriera: autorete. Invece sarebbe stato il mio 24° gol. Restai a 23 e con 24 il titolo di capocannoniere andò a Chinaglia che quell'anno vinse anche lo scudetto con la Lazio. Ma in carriera ho fatto gol a tutti. Anche con la mano e non mi vergogno a dirlo, perché va bene la lealtà dell'uomo, ma il calcio è un gioco in cui anche un pizzico di sana furbizia non guasta. E poi forse farla franca una volta tanto, è il giusto riscatto per tutti i gol che gli arbitri annullano o i rigori negati a un bomber.. Anche sui rigori, scrivono che ne ho segnati 19 di fila, ma a dirla tutta erano stati 20: l’arbitro Michelotti a un minuto dalla fine sospese Roma-Inter per invasione di campo e io quel giorno avevo trasformato il 20°».

Le 11 giornate di stop e altre “rovesciate”

«Giocavo a Varese con il Cagliari. Eravamo primi in classifica e stavamo perdendo 2-1. Un difensore del Varese buttò il pallone in angolo colpendo la palla di pugno in tuffo, come se fosse lui il portiere. L'arbitro Bernardis non fischiò il rigore e allora ci avventammo tutti su di lui alzandolo un metro da terra. Io certo non mi ero tirato indietro, ma alla fine mi toccò prendermi tutte le colpe. Quella squalifica mi costò gli Europei del '68 e Valcareggi convocò Pietro Anastasi, poi io andai al suo posto ai Mondiali in Messico. La vera “staffetta” è stata la nostra mica quella Mazzola- Rivera. Dopo io e Pietro siamo stati anche le pedine di scambio nell'affare Juve-Inter... Mi diedero del “traditore”, ma quando mai, io sarei rimasto all’Inter a vita... Ero al mare e stavo mangiando con mia moglie, quando mi arrivò la telefonata del presidente Fraizzoli: “Bobo ti devo dare una notizia, ti abbiamo venduto alla Juventus”. Domandai se stava scherzando... Era vero, mia moglie si ricorda ancora che ero bianco come un cencio e non riuscivo a parlare. Mi chiese: “Roberto per caso è morto qualcuno?”. Alla Juve ho segnato e vinto ancora (due scudetti, il terzo personale e una Coppa Uefa), ma il mio cuore è rimasto sempre interista. L’Inter però non mi ha mai cercato. Massimo Moratti aveva richiamato tanti della vecchia guardia ma a me no, forse mi ha sempre associato a quel funesto Mantova- Inter del ‘67... Il compianto Gigi Simoni mi raccontò che quando allenava l’Inter lui metteva le multe ai giocatori e Moratti glie le toglieva...» - sorride e allora poi capisci tante cose».

Un solo rimpianto, quella finale con Pelè...

«Non ho rimpianti... Anzi no, uno c’è: non so quanto pagherei per rigiocare la finale di Messico ‘70 contro il Brasile. Ma con Rivera in campo. Che spreco farlo giocare solo 6 minuti. Valcareggi sbagliò e glie l'ho ripetuto tante volte negli anni: togliere Gianni da quella Nazionale fu come se il Brasile avesse rinunciato a Pelè...». Impossibile rinunciare a un altro incontro con Boninsegna. «Credo nelle rovesciate di Bonimba, e nei riff di Keith Richards...», trasmetteva alla radio il Freccia di Luciano Ligabue. Intanto questi 80 anni li festeggerà in famiglia e poi con altri giovani, gli studenti del Liceo Scientifico Belfiore, l’edificio che fu la sua scuola media, quella del mitico “Bonimba”.

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