Bobby Solo, 77 anni, uno dei cantanti più amati d’Italia
Un concerto dietro l’altro, l’estate di Bobby Solo, 77 anni, è piena come non mai e ci preparerà delle sorprese anche in autunno. Il cantante e autore è attivissimo anche in televisione e dimostra come la generazione di chi ha fatto grande la canzone italiana è ancora richiestissima e sulla cresta dell’onda ininterrottamente dagli anni 60. Una lezione per tanti trapper e giovanissimi cantanti dall’enorme successo che spesso dura solo una stagione. Ma l’estate 2022 di Bobby Solo, al secolo Roberto Satti, è legata più che mai al suo mito Elvis Presley, tornato in voga grazie al film di Baz Luhrmann. È lo stesso Bobby Solo ad ammetterlo, gentile e sorridente, da Ascoli Piceno dove domani terrà uno dei suoi concerti a tutto rock e blues.
Bobby Solo, qual è il segreto del suo rinnovato successo?
Io ho una caratteristica, non canto con le preproduzioni o su basi registrate, io canto e suono sempre dal vivo. La mia amica Mara Venier mi ha permesso di cantare dal vivo a Domenica in con i miei tre musicisti: il suono live non è perfetto, ma dà una sensazione migliore, più viva, e le mie serate sono espolse. La Rai è la mia benefattrice: io sono nato in tv con Telescuola nel ’63, Sanremo è arrivato nel ’64 e poi l’Eurofestival: senza la Rai non avrei mai venduto 12 milioni di copie di Una lacrima sul viso in tutto il mondo, due milioni e mezzo solo in Italia. Devo a Mara il 70% del mio nuovo boom, e il 30% al film su Elvis. Nei miei concerti suono sempre country, jazz e blues insieme alle mie canzoni, per fortuna questa musica sta tornando.
Lei ha visto il film di Luhrmann? Che ne pensa?
Questo film dedicato al grande Elvis lo ha fatto scoprire ai giovanissimi. Elvis di solito è sempre mostrato con la tuta bianca, nella fase dal 1976. Lui invece ha iniziato nel ’54, io ho visto quell’Elvis. E i giovani d’oggi vedendolo rappresentato nel film molto semplice, umile e povero, se ne sono innamorati. Io me ne sono innamorato nel ’59 e sono molto felice della longevità dell’arte di Elvis. Al cinema ho pianto, per fortuna avevo gli occhiali da vista che nascondevano le lacrime. Ho rivisto me stesso quando avevo 16 anni.
Ha avuto anche lei un colonnello Parker, un manager padre-padrone?
Io sono stato scoperto a Milano dal discografico Vincenzo Micocci che dalla Rca ha scoperto Venditti, De Gregori, Dalla. Nel film si vede che il manager ha creato Elvis e lo ha anche distrutto. Di manager ne ho avuti parecchi, ma siccome io sono pesci a- scendenti pesci, ho una mentalità ottimistica e sono sempre sopravvissuto agli impresari che mi hanno sfruttato. Ora gestisco tutto io, con l’aiuto del mio agente, nonché testimone di nozze, Nicodemo Scilanga.
Lei comunque un colonnello lo ha avuto in casa, suo padre Bruno colonnello dell’Areonautica.
Papà amava solo la musica operistica, Verdi, Puccini. Dei cantanti rock stranieri diceva in triestino «i ga i miliardi, ma son tutti straccioni, i siga», ovvero gridano. Non ha voluto che usassi il cognome di famiglia nel mondo della musica e non è mai venuto a un mio concerto. Ma quando sentì a Sanremo Una lacrima sul viso disse a mia madre: «Mariolina è bella sta canson». «Bruno – rispose lei – è tuo figlio che l’ha fatta». Era un tipo duro, ma ci amava moltissimo. Aveva combattuto in Africa ed era stato decorato con due medaglie d’argento al valore. Le ha vendute nel ’46 a Roma agli americani per farsi dare il latte in polvere perché mia mamma non ne aveva: io i primi due anni sono stato nutrito dal latte degli americani. Sarà per questo che mi piace la loro musica.
Anche i Maneskin hanno reinterpretato Elvis. Le piacciono?
Loro sono molto bravi, sarebbe divertente collaborare con loro: fare un rock anni ’50 cui aggiungere la loro grinta da giovani leoni. Loro hanno creato una ripartenza del rock, prima era tutto solo rap. Io spesso ho collaborato coi giovani, da Marta sui tubi a Vinicio Capossela, e poi l'ultimo dei miei cinque figli, il mio tesoro Ryan, ha 9 anni e ho 8 nipoti. Sono circondato dai giovani.
Quanti concerti ha in programma?
La mia estate è piena di concerti da Bergamo a Ponza, Chieti, la Calabria, la Puglia, la Bulgaria, fino al 7 settembre. Poi verso fine ottobre sarò al Blue Note di Milano. L’anno scorso in mezzo al Covid ne ho fatti 30. Nonostante il caldo l’entusiasmo che mi dà la gente è impagabile. A Manduria pochi giorni fa ho cantato per 5000 persone per due ore e mezza col caldo. «Non siete stufi?» gli ho gridato dopo un’ora e mezza. «No, continua!».
Anche i suoi coetanei stanno vivendo una nuova giovinezza artistica.
A Sanremo Morandi, Zanicchi, Berti, Ranieri hanno dimostrato che noi siamo dei buoni professionisti. Noi abbiamo avuto professionalità sin da giovani: guardate Mina e Celentano a 20 anni. E poi abbiamo le canzoni. Brani come Quando quando, quando o Volare sono difficili da trovare.
Lei si ricorda una estate particolare?
Con Celentano eravamo a Catania nel ’67: il pubblico arrabbiato perché lo spettacolo non iniziava, cominciò a tirare sassi e zolle. Radaelli chiamò Celentano sul palco: lui, magrolino, guardò i 50mila, alzò le mani, tirò fuori un fazzoletto bianco in senso di pace e tutto il pubblico sventolò fazzoletti bianchi. Li ha addomesticati tutti: ha sempre avuto un carisma particolare.
Ci sono state sue hit estive?
Allora erano forti d’estate Vianello e la Pavone. Io però lanciai bene Siesta e Domenica d’agosto che nacque così: quando Morandi vinse Canzonissima nel ’66 con Scende la pioggia, fecero una festa nella sua villa a Roma. Alle 3 di notte, davanti a una bottiglia di vino eravamo io, Gianni Morandi e Dalla. Lucio al piano compose al volo Domenica d’agosto, ma non la volle firmare, così la firmò Gianni.
Le piacerebbe tornare a Sanremo?
Certo, e vorrei cantare un pezzo dedicato a Elvis. Sono sempre in giro, ma devo andare a casa a Pordenone per scrivere canzoni nuove. Spero di farle buone come allora: certo a 20 anni un cuoco ha più entusiasmo, a 70 magari si scorda il sale. La musica sinfonica immortala l’eternità, il pop è la colonna sonora dei tempi in cui vivi. Negli anni 60 gli affitti costavano poco, il lavoro c’era, è stato un momento magico, la gente stava bene, ballava stretta stretta nelle balere, d’estate ballava il twist. Negli anni 70 ci sono stati il Vietnam, le targhe alterne, i cantautori sociali; negli anni 80 la discoteca e la trasgressione. La musica di oggi è la colonna sonora del nostro tempo e auguro ai giovani di rappresentarla al meglio.