Si deve o non si deve pagare le tasse ai Romani? Questa era davvero, per gli Ebrei dei tempi di Cristo, una questione scottante. Evocava anche un problema generale di comportamento di fronte all’occupazione straniera: bisognava accettare il dominio di Roma o si doveva organizzare la resistenza e la ribellione? Era per molti un caso di coscienza.Il caso viene sottoposto a Gesù, in termini che fanno appello, oltre che alla sua sapienza, alla sua schiettezza, alla sua libertà di spirito, alla sua passione per la giustizia: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno, perché non guardi in faccia a nessuno». Era difficile riconoscere in modo più esplicito e lusinghiero l’autorità morale e la dirittura di carattere del giovane profeta di Nazaret. Ma non era un elogio fatto in buona fede. È interessante notare che, per formulare l’arduo quesito, si erano messi insieme e accordati tra loro due gruppi di persone che vivevano in reciproca ostilità: i farisei (conservatori e nazionalisti) e gli erodiani (che accettavano la politica spregiudicata e collaborazionista del re).Gesù, dando un bell’esempio della franchezza che gli era stata lodata, smaschera le loro intenzioni: «Ipocriti, perché mi tentate?». Tuttavia non sfugge al problema. Anche se conosce la loro malizia acconsente a rispondere. Il rischio era grave: si trattava o di lasciarsi coinvolgere delle beghe politiche (tradendo così la sua missione tipicamente religiosa) o di invitare la gente a pagare le tasse (perdendo così tutta la sua popolarità). Questa, di pagare le tasse, è una cosa che non si è mai fatta volentieri in nessun tempo e in nessun Paese. Un predicatore che invita la gente a pagare le tasse, è destinato a un sicuro insuccesso.Gesù risponde, ma non si impegna nel campo politico. Risponde, ma non si compromette in una contestazione attiva della prepotenza di Roma. Risponde, ma non propone affatto l’obiezione fiscale. Non dice: «Detrai dal tuo pagamento quanto prevedi che andrà a finire ad acquistare le armi dell’oppressore» (come forse a qualche cristiano dei nostri giorni piacerebbe che avesse risposto). Dice: «Se accettate per i vostri traffici e per i vostri guadagni la moneta dell’imperatore, voi riconoscete all’imperatore l’autorità di gestire la cosa pubblica, e quindi anche il suo diritto a raccogliere i tributi». Ma, sottolinea subito, l’autorità politica non è illimitata: è circoscritta dall’autorità prevalente di Dio. E arriva in tal modo a enunciare un principio fondamentale, che costituisce la fonte della vera liberazione dell’uomo da ogni possibile prevaricazione del potere e da ogni tirannia.Lo Stato antico era sempre totalitario: disponeva di tutto l’uomo, perfino della sua vita religiosa. Anche gli atti di culto erano regolati dalle leggi ed erano funzionali all’azione e ai progetti dello Stato. È una inclinazione che rispunta sempre tra gli uomini politici. Molti di essi sono persuasi di poter stabilire che cosa sia giusto e cosa non sia giusto in faccia a Dio; cosa si debba e cosa non si debba fare per essere coerenti con le verità della fede; che cosa possano e cosa non possano dire coloro che hanno ricevuto la missione di guidare il popolo dei credenti.Contro questa sempre rinascente tendenza, Gesù afferma la necessità di fare spazio a Dio e di dargli un posto che non può non essere il primo e il prevalente. E tale affermazione diventa premessa di salvezza dell’uomo di fronte a ogni esorbitanza dei potenti. Egli insegna: nessun organismo dello Stato, nessuna forza politica, nessun partito può pretendere ciò che appartiene soltanto a noi come persone (alle quali anche lo Stato è finalizzato) e a Dio, come Signore dell’universo. Nessun organismo dello Stato, nessuna forza politica, nessun partito può impadronirsi della vostra anima o manipolarla, può interferire nelle vostre convinzioni morali, può imporvi una sua concezione del mondo: «Date a Cesare quel che è di Cesare», ma niente di più.Come si vede, il Vangelo non insegna affatto la rivoluzione o la contestazione del sistema; al contrario, predica la lealtà e l’obbedienza verso l’autorità, le sue leggi e le sue decisioni. Ma impone a qualunque autorità mondana (statale, governativa, partitica, sindacale) di non oltrepassare il suo campo specifico, che è tutto racchiuso nell’ambito del bene terreno, e non può toccare la sfera sacra della coscienza, la quale può essere illuminata solo dalla luce che viene dall’alto. E nell’ottica cristiana l’ambito del bene terreno è molto ristretto e non è mai primeggiante, perché ciò che conta davvero per l’uomo è il rapporto col Padre che è nei cieli, è l’avvento del Regno di Dio, è la vita eterna; e alla luce di questi valori tutto va giudicato.Ciò che sta a cuore a Gesù, ciò che è lo scopo vero del suo insegnamento, ciò che è il senso profondo dell’episodio, riferitoci dalla pagina evangelica che abbiamo ascoltato, è l’ultima frase: «Date a Dio quel che è di Dio», cioè tutto. Poiché Dio è il Creatore e il Signore di tutto, tutto a lui in definitiva deve essere rapportato. Non c’è angolo dell’esistenza, non c’è attività umana, da cui il Creatore di tutte le cose possa essere legittimamente estromesso. Niente di quello che l’uomo fa, dice o pensa, è indifferente alla sua essenziale indole religiosa. Tutto – anche il necessario impegno terrestre, nei suoi vari settori e nei suoi vari momenti – deve essere compiuto per Dio e in oggettiva conformità al suo volere. Poiché tutto proviene da Dio e a Dio deve essere riferito, nell’affetto sincero del cuore e nell’obbedienza della vita.Gli uomini che pretendono di diventare nostri maestri di vita contro o solo al di fuori dell’unico vero Signore, sono un’insidia e un ostacolo al primato, nella nostra esistenza, del Dio vivo e vero, l’unico che merita l’adesione di tutto il nostro essere; e sono un’insidia per l’affermazione della nostra libertà di persone e per la nostra inalienabile dignità. Perché proprio inginocchiandosi davanti all’unico Dio e donandosi all’unico Signore Gesù Cristo, l’uomo, di fronte a ogni autorità terrena, si mantiene libero e può liberamente usare di tutti i beni del mondo.