giovedì 14 novembre 2019
Dalle ultime indagini emerge che il calciatore del Cosenza, morto il 18 novembre 1989 e passato a lungo per suicida, è invece stato assassinato. In 30 anni tante ombre, prove insabbiate e tre indagati
Uno striscione che chiede verità sulla tragica fine del calciatore Donato Bergamini

Uno striscione che chiede verità sulla tragica fine del calciatore Donato Bergamini

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Il Muro di Berlino era crollato da poco più di una settimana, e i ventenni degli anni ’80, come Denis Bergamini, forte centrocampista del Cosenza, classe 1962, possedevano la speranza e una fiducia illimitata nel futuro che, forse le generazioni successive, nate e cresciute in questo Paese, non hanno più avvertita. «“Forza ragazzi, domenica dobbiamo battere il Messina!”, questo è stato l’ultimo grido di battaglia, rivolto ai suoi compagni di squadra del Cosenza (allora allenato da Gigi Simoni) dal “Lupo” di centrocampo Donato Bergamini: in casa, e per il popolo degli stadi, semplicemente “Denis”. Un talento l’ex ragazzino biondo cresciuto nella squadretta del paese natio, Boccaleone di Argenta (Ferrara), arrivato 23enne in B al Cosenza e pronto, nell’89, per il grande salto in Serie A: al club calabrese, al quale era legato da un contratto di circa 170 milioni di vecchie lire a stagione, l’avevano richiesto due delle ambiziose ex sette sorelle della Serie A dell’epoca: il Parma dei Tanzi e la Fiorentina dei Cecchi Gori.

Ma il futuro protagonista del calcio che conta è poi passato poi alla storia come la più grande vittima del pallone nazionale. Denis Bergamini, per molto tempo, è stato considerato Il calciatore suicidato (titolo omonimo del libroinchiesta scritto dall’ex centravanti di lungo corso – anni ’70 – Carlo Petrini), mentre oggi invece abbiamo la certezza, anche grazie a una tardiva quanto inconfutabile autopsia, che il centrocampista del Cosenza venne ucciso, per soffocamento e successivamente adagiato sull’asfalto e sormontato parzialmente da un camion. L’autopsia venne disposta il 10 luglio 2017 dalla Procura di Castrovillari su espressa richiesta dell’avvocato Fabio Anselmo (legale difensore della famiglia Bergamini e anche della famiglia di Federico Aldrovandi e di Stefano Cucchi) che così è riuscito a far riaprire il caso dopo che la precedente richiesta di autopsia era stata negata dal gip dell’archiviazione.

E per la morte di Bergamini, nell’attuale inchiesta del magistrato Eugenio Facciolla a capo della Procura di Castrovillari, ad oggi sono tre gli indagati: due per concorso in omicidio, Raffaele Pisano e Isabella Internò, e il poliziotto Luciano Conte (marito della Internò) accusato di favoreggiamento. Bergamini venne assassinato, alla vigilia di quella sfida sentitissima con il Messina – campionato di Serie B 1988-1989 – sabato 18 novembre 1989. Una fine misteriosa che – “vergognosamente” – va avanti da trent’anni a questa parte. Con l’attività investigativa appena conclusa dal procuratore Facciola e i suoi collaboratori, la famiglia del cal- ciatore e un’intera città, in questi giorni tristi e lagrimosi di pioggia, come il cielo di un altro novembre, attende risposte sulla fine ingiusta di un ragazzo, che qualche mano criminale ha tentato di ucciderne anche la memoria.

«Ma almeno la memoria di Denis è salva, e questo solo grazie alla lotta tenace portata avanti dalla nostra famiglia, da alcuni media, in particolare da Federica Sciarelli e la sua trasmissione Chi l’ha visto? (Rai 3) e dai tanti tifosi che non hanno mai smesso di sostenerci e con il nostro stesso amore continuano a tenere in “vita” Denis – dice Donata Bergamini –. Purtroppo ci sono state anche tante manomissioni, verità taciute e insabbiate, a cominciare dall’archiviazione nel 1992», emessa dal Gip di allora su richiesta della procura. Per quell’assurdo decreto della Procura di Castrovillari che archiviò il caso Bergamini, Denis si era suicidato. Il 18 novembre dell’89, Bergamini ricevette una strana telefonata (nella prima inchiesta non venne controllato sui tabulati il numero da cui partì la chiamata) e mentre era in ritiro – al cinema con la squadra abbandonò (o meglio venne costretto) inspiegabilmente per salire sulla sua Maserati, assieme alla ex fidanzata, Isabella Internò.

Viaggiavano sulla Statale Jonica 106, quando all’improvviso Denis si sarebbe gettato sotto un camion carico di frutta che transitava in località Roseto Capo Spulico. Questa è la versione dell’unica testimone diretta, Isabella Internò. «A me quello che fa più male è sentire dopo trent’anni che questa signora difende ancora la tesi, assolutamente smentita dall’autopsia, del suicidio di mio fratello, il quale per nessuna ragione avrebbe lasciato il ritiro sapendo che il giorno dopo rischiava di non essere convocato. Denis amava troppo il Cosenza, il calcio era tutto il suo presente e probabilmente sarebbe stato anche il suo futuro. E poi i compagni di squadra l’hanno sempre ribadito: Denis era innamorato della vita e non avrebbe mai potuto compiere un gesto del genere». Infatti oggi sappiamo che il luogo in cui venne ritrovato il suo corpo senza vita, «che finalmente “parla”», sottolinea Donata, è il luogo del delitto e non il tuffo volontario e finale di un suicida. Neppure un osso rotto sul corpo di quel ragazzo finito sotto un camion che trasportava 138 quintali di mandarini e stando ai rilievi dell’89 era stato trascinato sull’asfalto reso bagnato dalla pioggia per circa 60 metri.

L’indagato per omicidio, il camionista Raffaele Pisano, di Rosarno, ascoltato al processo disse di aver visto Bergamini in piedi. La ricostruzione della Internò, la seconda indagata, ad oggi, per omicidio, allora ascoltata solo come persona informata sui fatti, fa acqua da tutte le parti. Oltretutto, la ragazza quel giorno era già una ex: Denis l’aveva lasciata otto mesi prima, ma già dal 1987 la loro relazione non era più continuativa. Infatti nel periodo precedente all’omicidio Bergamini era fidanzato con una 22enne calciatrice. «Una ragazza di Russi di Romagna che nell’89 andò subito dal Pm Abate e quella deposizione avrebbe dovuto indirizzare gli inquirenti visto che raccontò di minacce ricevute da mio fratello da parte di qualcuno che gli voleva male… – continua Donata – Denis però l’aveva rassicurata e al telefono gli aveva promesso: “Stai tranquilla, tutto a posto. Se domenica segno al Messina, il gol lo dedico a te”».

La ragazza stava per scendere a Cosenza per festeggiare il suo compleanno assieme a Denis che la voleva presentare ufficialmente a tutti i compagni di squadra. Una trasferta cancellata. E anche di Denis dopo quello strano e assurdo incidente, sparì tutto, tranne le scarpe che indossava il giorno in cui morì. I due magazzinieri e factotum del Cosenza, Mimmolino Corrente e Alfredo Rende, si impegnarono a recapitarle alla famiglia Bergamini. «Alfredo telefonò a mio padre e gli disse che sarebbero passati da casa nostra a Boccaleone finito il campionato perché volevano parlarci…». Mimmolino e Alfredo sono morti in seguito a un altro misterioso incidente d’auto avvenuto sempre lì, lungo la Statale Jonica 106, il 4 giugno 1990. Fu un incidente? Oppure qualcuno, legato all’omicidio di Denis, non glie lo permise e gli chiuse la bocca, per sempre? Altre ombre, nessun testimone allora, nessuno ha visto e sentito nulla. Solito giallo all’italiana.

Come quello di Stefano Cucchi al quale Donata si sente molto legata. «Nel 2009 mentre nasceva la nostra Associazione ci fu la morte di Stefano. Due storie diverse certo, ma sua sorella Ilaria Cucchi aveva circa la stessa età di quando io avevo perso mio fratello e nei suoi occhi ho rivisto un dolore già provato e quella stessa rabbia che ti porta a combattere ogni giorno per la verità… – si commuove Donata e poi conclude – . Devo accettare che il nostro sistema giudiziario prevede tre gradi di giudizio e che anche per i peggiori reati esistono gli sconti di pena, però chi ha ucciso mio fratello e chi ha mentito ha beneficiato di un bonus di trent’anni di impunità mentre la mia famiglia è stata punita nel modo più atroce e disumano. Sono veramente stanca di aspettare, ma nutro fiducia nell’operato del procuratore Facciolla. Chiediamo verità e giustizia per Denis: l’aspettiamo da trent’anni, non possono negarcela».

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