Strappato all’Iraq il record mondiale della più lunga crisi di governo (249 giorni, compiuti giovedì) il Belgio si prepara ad altre settimane di intricate trattative tra i politici francofoni e fiamminghi, scivolando verso elezioni anticipate, che rischiano di essere un altro passo per arrivare un giorno alla divisione del Paese tra Fiandre di lingua olandese e Vallonia francofona, indipendenti di fatto o di diritto: sbocco di un contenzioso in corso da decenni tra le due maggiori comunità linguistiche, con la piccola minoranza germanofona come spettatore. A poco sono valse le proteste che nelle ultime settimane hanno messo in piazza decine di migliaia di belgi, oltre cinquantamila solo nella manifestazione che il 23 gennaio ha visto sfilare nel centro di Bruxelles giovani e meno giovani che contro ogni partito gridavano "
Shame", vergogna, in inglese per evitare suscettibilità linguistiche. E intimavano ai politici: «Il nostro mestiere l’abbiamo fatto votando, ora voi fate il vostro». O ancora le sfilate organizzate questa settimana da studenti – giocosamente nella forma ma con una buona dose di indignazione – che hanno dichiarato una
Révolution des frites (rivoluzione delle patatine), quelle che accompagnando le cozze sono il piatto più popolare in Belgio. Nessuna pretesa sul modello della Rivoluzione dei gelsomini in Tunisia, certo, ma la speranza di tanti giovani di vedere il loro Paese uscire dal tunnel. Senza illudersi di smuovere i politici ma semplicemente per ricordare loro l’aspetto ridicolo della situazione, c’è poi chi fa appello al senso dell’umorismo. Come l’attore Benoît Poelvoorde, che ha deciso di non radersi fino a quando non ci sarà un nuovo governo e finora ha convinto qualche centinaio di persone a imitarlo. O come le donne del Collettivo Lisistrata che hanno deciso di rifiutarsi ai loro uomini fino al nuovo governo: resta da vedere se mettere d’accordo valloni e fiamminghi sarà facile quanto fermare la guerra tra Atene e Sparta, impresa realizzata da Lisistrata e dalle sue compagne.Il primo atto irrimediabilmente simbolico della spartizione strisciante del Belgio è stato compiuto in una biblioteca, a riprova che l’origine della crisi è culturale quanto e forse ancora più che economica o politica in un Paese tagliato in due dall’antica frontiera tra mondo latino e mondo germanico. L’episodio è vecchio di decenni ma rimane esemplare: per alcuni come monito, per altri come avvio di un processo che il leader nazionalista fiammingo Bart De Wever definisce ora «fisiologico», dato che «un giorno il Belgio unitario svanirà, come una candela che si spegne, e nessuno vi farà caso». Nel 1968 l’Università Cattolica di Lovanio, nelle Fiandre, si è divisa tra francofoni e fiamminghi. Il divorzio è stato consumato sotto le volte e ai danni di una delle biblioteche più antiche e prestigiose d’Europa, frequentata da personaggi come Erasmo da Rotterdam e il geografo Gerardus Mercatore, che ha disegnato il mondo guadagnandosi per secoli la gratitudine dei naviganti. Mentre a Bruxelles i politici architettavano una puntigliosa distinzione istituzionale dei poteri delle due maggiori comunità linguistiche (i germanofoni non hanno mai creato difficoltà), a Lovanio si decideva che i valloni dovevano andarsene e che i preziosi volumi della biblioteca andavano divisi: per metà rimanendo dov’erano, in terra fiamminga, mentre l’altra metà sarebbe emigrata verso Sud per formare la biblioteca dell’università – egualmente cattolica ma francofona – che stava per essere costruita con un’altra Lovanio, Louvain-la-Neuve, in Vallonia. A sottolineare la durezza dei contrasti, alcuni settori del milione e mezzo di volumi sono stati divisi nel modo più barbaro: ai valloni i numeri pari del catalogo e ai fiamminghi i numeri dispari o viceversa. L’episodio è stato ricordato più d’una volta negli otto mesi delle trattative in corso per formare un nuovo governo al posto di quello del centrista Yves Leterme, entrato in crisi a causa del contenzioso tra valloni e fiamminghi e ancora in carica per l’ordinaria amministrazione, mentre urgono invece misure per rilanciare l’economia. Sullo stesso scoglio è naufragata una mezza dozzina di governi belgi, ma questa volta la novità è che la prospettiva di una scissione delle Fiandre ha cessato di essere un tabù. E da una questione apparentemente di puro puntiglio (lo statuto di alcuni comuni in area fiamminga, ma abitati soprattutto da francofoni) lo scontro si è allargato fino a minacciare l’unità del Paese. Se nei discorsi ufficiali la scissione del Paese rimane per ora il convitato di pietra muto e minaccioso, la questione sul tappeto è la transizione dall’attuale sistema di Stato federale a una confederazione in cui al governo centrale rimarrebbero la politica estera, la difesa e parte della giustizia (la politica monetaria appartiene ormai alla Banca centrale europea che governa l’euro) mentre la quasi totalità delle tasse verrebbe spesa nella regione in cui viene riscossa. Sarebbe una perdita secca per la Vallonia, che tra l’altro ha una disoccupazione superiore al quindici per cento con conseguenti maggiori spese sociali. Tra Nord e Sud i rancori sono antichi e tenaci, vivissimi anche al di là delle strumentalizzazioni elettorali, che danno forza al nazionalismo fiammingo su cui ha fatto leva l’Nva (Nuova alleanza delle Fiandre) di Bart De Wever per vincere le elezioni del giugno scorso e diventare il partito dominante nella sua regione. Nel regno nato nel 1830 con l’assenso delle grandi potenze del Concerto europeo, che sul trono hanno messo un principe tedesco per scontentare equamente valloni e fiamminghi, il vero potere politico, economico e culturale è stato a lungo nelle mani dei francofoni e della loro regione. Ricca di ferro e carbone, forte di una fiorente industria siderurgica e meccanica, grande produttrice di armi e locomotive, per decenni seconda solo all’Inghilterra nella rivoluzione industriale e grande beneficiaria dello sfruttamento coloniale del Congo, la Vallonia vedeva nel Nord poco più di un serbatoio di manodopera, un’agricoltura tradizionale e un buon porto ad Anversa. Ancora durante la Prima guerra mondiale nell’esercito gli ordini venivano dati in francese e la grande università di Gand, nelle Fiandre, ha dovuto aspettare il 1923 per diventare il primo ateneo autorizzato a tenere alcuni corsi in olandese anziché in francese. All’inizio i fiamminghi hanno visto con diffidenza la distinzione istituzionale tra le due regioni avviata negli anni ’60 per iniziativa dei dirigenti valloni. Ben presto però l’autonomia regionale è diventata il cavallo di battaglia fiammingo, mentre gli equilibri cambiavano e le Fiandre non sono più la parente povera: la bilancia della prosperità si è spostata sempre più verso Nord, mentre la siderurgia entrava in crisi irreversibile, nel Sud del Belgio come altrove. E sempre più è apparsa fisiologica la divisione delle grandi famiglie politiche per formare partiti regionali: una Democrazia cristiana francofona e una fiamminga, un Partito socialista per la Vallonia e uno per le Fiandre, liberali valloni e liberali fiamminghi, ecologisti Verts a sud e Groen a nord. La frammentazione politica non poteva che contribuire a rendere precarie tutte le intese che possono essere rappezzate di volta in volta: in attesa di nuove elezioni da cui nessuno, neppure re Alberto II, si aspetta davvero un inizio di guarigione della frattura che divide Nord e Sud del Belgio lungo l’antica frontiera tra due culture che non riescono a fondersi.