venerdì 19 marzo 2021
A 40 anni dall’uscita torna l’album dei record del cantautore che il 23 marzo compie 76 anni. Alberto Radius: «Nella mia sala di registrazione tutto il genio di Franco e un impasto sonoro perfetto»
Il cantautore Franco Battiato ritratto nella copertina interna originale dell’album “La voce del padrone”. Un boom da un milione di copie

Il cantautore Franco Battiato ritratto nella copertina interna originale dell’album “La voce del padrone”. Un boom da un milione di copie - Lelli & Masotti - Archivio

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Mentre si sta cercando un centro di gravità permanente e segnali di vita sventolando bandiera bianca con sentimiento nuevo, volano gli uccelli, volano, nello spazio tra le nuvole… Echeggiano questi versi e questi titoli, dopo quarant’anni. Era l’album perfetto, il primo dei due dischi clou di Franco Battiato: La voce del padrone e Fisiognomica. Oggi quel capolavoro del 1981 torna con la sua iconica foto di copertina, stilizzata, in un riquadro bianco su sfondo blu, disegnata da Francesco Messina, a evocare da una parte un siculo e arabo Mediterraneo e dall’altra quei cosmici mondi lontanissimi che sono da sempre il terminale dello sguardo di Battiato, a scrutare le misteriose regole assegnate a questa parte di universo. Al nostro sistema solare.

Universal Music ripubblica, in anticipo di sei mesi rispetto agli effettivi 40 anni dall’uscita, La voce del padrone con il remissaggio operato nel 2015 dallo stesso Battiato insieme al fido Pino “Pinaxa” Pischetola. Rimasterizzazione per la prima volta, per un artista italiano, disponibile anche sulle piattaforme digitali Amazon e Tidal in formato Dolby Atmos, oltre che in diverse versioni fisiche long playing e cd. Una celebrazione anticipata per festeggiare i 76 anni (il 23 marzo) di Battiato, da tempo a riposo nel suo buen retiro di Milo alle pendici dell’inquieto Etna.

Strano e singolare percorso quello de La voce del padrone, la cui esplosione avvenne dopo nove mesi dall’uscita diventando persino un insospettabile fenomeno balneare. Così sulle spiagge italiane nell’estate dell’82 insieme al redivivo inno nazionale resuscitato dalle gesta spagnole della Nazionale campione del mondo, si scandivano ritmiche e contagiose note di gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming. E l’enigmatico Battiato con la sua Summer on a solitary beach se ne stava idealmente sul bagnasciuga gomito a gomito con l’amica corregionale Giuni Russo a cui lui e il maestro Giusto Pio avevano appena affidato il compito di dominare la hit balneare con Un’estate al mare. Voli imprevedibili ed ascese velocissime, traiettorie impercettibili e codici di geometrie esistenziali, ma soprattutto musicali e discografiche.

Tra gli artefici e i testimoni oculari (ancorché acustici) di quell’incredibile exploit a scoppio ritardato (tra quei sette brani, l’ultima traccia, Sentimiento nuevo, Battiato non la voleva includere perché la riteneva un po’ debole rispetto al resto, ma alla fine cedette alle insistenze del produttore Angelo Carrara) c’è il deus ex machina della cosiddetta svolta pop di Battiato, Alberto Radius. Il grande chitarrista 78enne, compositore e fonico, ha appena calcato il palco dell’Ariston insieme alla coppia Coma_ Cose per omaggiare Lucio Battisti (della cui scuderia Numero Uno aveva fatto parte con la Formula 3 portando al successo la battistiana Questo folle sentimento) nella sanremese serata dei duetti e delle cover con Il mio canto libero.

Fu Battiato nel 1979 a tenere a battesimo lo studio di registrazione, nuovo di zecca, di Radius con l’album L’era del cinghiale bianco che il chitarrista fece rifare tutto daccapo chiamando anzitutto Tullio De Piscopo «per riequilibrare i troppi divari di tempo della base ritmica. Tenemmo però il violino di Giusto Pio e la voce di Franco – svela Radius –. Avevo investito tutto per acquistare apparecchiature e optional, come compressori e riverberi particolari. Ricordo che uno mi era costato addirittura sedici milioni di vecchie lire. Poi ho investito la bellezza di 50 milioni per un registratore a 24 piste e diversi microfoni di alta qualità, tutto acquistato a Londra».

«Franco fu tra i primi a usufruirne - ricorda Radius -. E con La voce del padrone fu una vera e propria apoteosi sonora, per gran parte merito del genio di Battiato. Aveva perfettamente chiaro quello che voleva ottenere, era lui a suggerire tutti gli arrangiamenti e ogni singolo suono. Tutte queste novità messe insieme hanno dato anche a me la possibilità di emergere come studio di registrazione. Da allora per anni ho realizzato quasi la metà dei dischi di musica leggera. Un musicista unico, Battiato, oltretutto di straordinaria generosità umana. Un giorno seppe che mi mancavano 50 milioni di lire per definire l’acquisto di una casa vicina al mio studio: staccò un assegno e me lo consegnò ringraziandomi per tutto l’aiuto prestato nel produrre i suoi dischi. Un gesto indimenticabile».

La voce del padrone è stato l’apice della sua trilogia pop del maestro siciliano. Una “svolta” voluta, decisa quasi a tavolino, dopo un decennio di sperimentazione elettronica e di avanguardia. Battiato aveva finalmente deciso di fare un disco di successo e, gradualmente, l’ha fatto. Una escalation, da L’era del cinghiale bianco del ’79 a Patriots l’anno dopo fino a La voce del padrone nell’81. Si era stancato di essere un musicista sperimentale e, paradossalmente, l’apice della sua insoddisfazione fu vincere il Premio Stockhausen dopo l’improbabile disco L’Egitto prima delle sabbie in cui il suo minimalismo l’aveva portato a riempire un’intera facciata di quel 33 giri di improponibili armonici di pianoforte.

Un “estremo” necessario, che ha gettato le basi per una sorta di perfetta sintesi che potesse anche coniugare quella sua creatività musicale fuori dagli schemi e una vocazione letteraria che lo portava a comporre testi che alla narrazione anteponevano l’evocazione, unendo con assoluta originalità cosmogonia ed effimera quotidianità. Un divertente e ammiccante gioco di sostituzione, frammenti e schegge tra reale e surreale. Così alla fine persino sulle spiagge, sotto gli ombrelloni, in quell’estate dell’82 a poi ancora, a Beethoven e Sinatra si cantava di preferire l’insalata, con il mare nel cassetto e mille bolle ci si metteva tutti gli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero. E lui, su quella copertina, aveva per primo abbozzato, con le palme, il codino, gli occhiali da spiaggia e un paio di sandali coi calzini.

Provocazione e divertissement. A partire, pochi mesi prima di registrare La voce del padrone, dall’idea di poter sbancare il Festival di Sanremo con una canzone contro corrente come Per Elisa cantata dalla sua affascinante musa musicale Alice. Era il suo momento, quello pervicacemente allontanato per anni ma poi abbracciato da par suo, in virtù della differenza qualitativa e della originale e innovativa cifra stilistica. Ma perché un album così ha saputo battere il record del milione di copie vendute, rimanendo nel 1982 in classifica ai primi posti per diciotto settimane, da maggio a ottobre? Genio, sregolatezza e matematica musicale. Fatta di musicisti affiatati e ben guidati (dall’inseparabile Giusto Pio come aiuto agli arrangiamenti, alla sezione ritmica Alfredo Golino e Paolo Donnarumma, Alberto Radius alle chitarre, Filippo Destrieri alle tastiere, Claudio Pascoli al sax, Donato Scolese al vibrafono e il coro Madrigalisti di Milano in almeno tre brani vincenti: Bandiera bianca, Centro di gravità permanente e Cuccurucucù), nonché di ingredienti precisamente collocati e miscelati.

Un impasto sonoro che ha fornito un sapore inconfondibile a quel disco, dall’inizio alla fine. A partire dalla ritmica, con marcati e anche sotterranei incastri tra batteria vera, drum machine, tastiere e archi veri realizzati da Giusto Pio. Poi mai come ne La voce del padrone Battiato ha usato il sax, spesso in contrappunto, per creare un’ancor più perfetta armonizzazione. E in sottofondo e sottotraccia, quasi impercettibili e subliminali suoni di sintetizzatori, eredità e frutto sonoro degli album sperimentali degli anni precedenti. Poi le doppie voci dello stesso Battiato quasi sussurrate, spesso addirittura in terza voce. E ancora i cori dei Madrigalisti di Milano e femminili voci liriche.

Matematica musicale e capacità inventiva allo stato puro, partendo da un’armonia di tastiera su cui si costruiva tutto il resto. Infine quei testi, così apparentemente assurdi e giocosi. Per la maggior parte della gente forse era tutto un nonsense, ma per l’autore un senso profondo, misterioso e sotterraneo l’avevano eccome. Come quei «pensieri associativi» a causa dei quali noi esseri umani non riusciamo quasi mai a stare pienamente dove siamo, a essere presenti a noi stessi e ad avere la consapevolezza del qui e ora. Segnali di vita.

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