L’incontro con il cosmologo John Barrow, realizzato in collaborazione col festival Scienzarteambiente di Pordenone, è uno dei clou del festival pordenonelegge, in programma da oggi a domenica 21. In cartellone ci sono 250 eventi che coinvolgono 363 autori. Fra gli ospiti gli scrittori David Grossman (nella foto), chiamato a inaugurare la rassegna, Hunif Kureishi, Jamaika Kincaid, Margaret Atwood, il sociologo Ulrich Beck, il fisico Étienne Klein. Tra gli ospiti italiani Massimo Cacciari, Giorgio Diritti, Vito Mancuso, Giancarlo Giannini, Donato Carrisi, Andrea De Carlo. A Umberto Eco pordenonelegge consegnerà il Premio FriulAdria «La storia in un romanzo». Info:
www.pordenonelegge.it. Euclide, Tommaso d’Aquino, Spinoza o Leopardi: già nei nostri anni scolastici avremmo dovuto capire che l’infinito più che un argomento senza limiti sembra essere un sistema di dimensioni parallele. John Barrow poco più di dieci anni fa l’aveva declinato al plurale,
Infinities, in un memorabile spettacolo con Luca Ronconi, sfida – vinta – di portare su un palcoscenico «un argomento profondo connotato da tecnicismo matematico, ma di cui ogni persona pensa di avere un’idea di cosa sia». Il cosmologo inglese, professore di matematica a Cambridge, tornerà a parlare di infinito a
Pordenonelegge il prossimo 21 settembre (ore 17), in una conversazione con Sylvie Coyaud. Barrow è anche l’autore, con Frank Tipler, di
The Anthropic Cosmological Principle, storico volume in cui discute il concetto di «principio antropico» e la necessità, nonostante l’apparente casualità o la fragili e straordinarie coincidenze delle concause, della nascita di una forma di vita intelligente nell’universo. Non stupisce, pertanto, che nel festival della città friulana lo scienziato parlerà «di tre tipi di infinito: matematico, fisico e trascendentale. Anche se la parola è la stessa in ognuno di questi casi, essi sono concettualmente molto differenti».
Sull’infinito convergono scienza, filosofia e teologia. Quali possono essere i reali punti di contatto?«È interessante notare che quando Georg Cantor per primo sviluppò la sua teoria dei differenti tipi di infinito, con differenti dimensioni, i matematici erano molto ostili. Questi pensavano che ammettere infiniti matematici avrebbe fatto collassare il loro campo di indagine in contraddizioni. Ma i teologi furono molto interessati ai concetti di Cantor e diedero loro il benvenuto. Piacque l’idea di una interminabile gerarchia di infiniti, ognuno più grande del precedente, senza che ve ne fosse uno più grande di tutti. Questo risolveva molti problemi e consentiva ai teologi di parlare di infiniti che non fossero la stessa cosa di Dio».
Per i suoi scritti nel 2006 ha ricevuto il Templeton Prize, premio dedicato alle tematiche religiose e spirituali. Qual è lo stato attuale del dialogo tra scienza e religione?«È un tema in crescita, oggetto di molti istituti internazionali, come per esempio il Faraday Institute a Cambridge o il Centre for Theology and Natural Sciences a Berkeley, in California. Le relazioni tra teologia e scienza sono però differenti in funzione delle scienze particolari che di volta in volta possiamo prendere in considerazione, come l’astronomia o la biologia, e penso che ormai non sia più d’aiuto accumularle insieme».
Tornando al tema dell’infinito, quali sono le frontiere su cui si lavora maggiormente in ambito scientifico?«In matematica l’infinito è divenuto un aspetto molto tecnico e astratto della logica e ci sono poche connessioni pratiche con la scienza. Gli infiniti appaiono in molte domande che si pongono la fisica, la cosmologia e l’astronomia: come era l’inizio dell’universo? Ci sono luoghi nell’universo in cui la densità della materia diventa infinita? E se è così, è possibile per noi vederli da lontano? Lì le leggi della fisica sarebbero abbattute?».
Si danno anche casi in cui la scienza non "ami" l’infinito?«In fisica c’è stato un considerevole progresso nello sviluppo di nuove teorie unificate delle forze della natura. I tentativi passati di creare teorie simili hanno sempre predetto che alcune quantità misurabili sarebbero state infinite: questo perché la teoria in questione era ritenuta un’approssimazione o in qualche modo incompleta. Negli ultimi 25 anni abbiamo visto l’apparizione di un nuovo tipo di teoria, detta delle superstringhe, che promette di rimuovere tutti gli infiniti. Questa caratteristica fa di lei uno dei percorsi favoriti verso una cosiddetta Teoria del Tutto. Questo desiderio di rimozione degli infiniti attuali – è ancora valida infatti l’antica distinzione aristotelica tra infiniti potenziali e attuali – gioca un ruolo essenziale nella direzione su cui avanza la fisica fondamentale».
«Il principio antropico» tra poco compirà 30 anni. Come valuta retrospettivamente quel volume e il dibattito che ha generato?«Il libro ha sottolineato la necessità di considerare la posizione dell’uomo e la sua necessità nel cosmo anche in caso di aspetti intrinsecamente casuali nelle leggi della natura o nei loro esiti nell’universo primordiale. Nel 1986 non fu preso molto seriamente da numerosi scienziati. Ma oggi il principio antropico è la questione centrale in cosmologia insieme con il multiverso, l’inflazione eterna, la quantistica. Mi piace raccontare una storia immaginaria su Keplero. Se qualcuno gli avesse suggerito in cento il numero dei pianeti sorti in modo casuale nel sistema solare, lui avrebbe rifiutato seccamente l’ipotesi. Per Keplero il numero dei pianeti era una simmetria fondamentale dell’Universo. Oggi nessun astronomo al mondo tenterebbe di predirre il numero dei pianeti che sorgerebbero nel nostro sistema solare, risultato di una lunga sequenza di incidenti e fusioni. Ma ciò non significa che non possiamo predirre nulla del sistema solare: dobbiamo invece essere attenti a scegliere tra le possibilità quella giusta. Le teorie del tutto offrono molti esiti possibili e tra questi si devono individuare quelli più probabili. Calcolare queste probabilità si è rivelato fin ora troppo arduo. Ma alla fine verrà fatto».