Rischiano di essere superati (e perciò saranno da cambiare) i televisori e i decoder con cui oggi gli italiani ricevono la tv in digitale terrestre dall’antenna di casa. La rivoluzione in “byte” del piccolo schermo che fra 2008 e il 2012 si è portata dietro l’addio alla vecchia televisione analogica ha già fatto il suo tempo. Arriva adesso il digitale terrestre di seconda generazione che gli addetti ai lavori chiamano con una sigla destinata a diventare familiare: T2. La svolta è alle porte. Da venerdì tutti i negozi della Penisola potranno mettere sugli scaffali soltanto le tv con il T2 e con le codifiche approvate dall’Unione internazionale delle telecomunicazioni, mentre dal 1° gennaio 2017 sarà possibile esclusivamente la vendita degli apparecchi con il nuovo sistema. Come a dire: bisogna essere pronti. La televisione del futuro (e ormai dietro l’angolo) non sarà compatibile con quella attuale. Di fatto, quando le stazioni manderanno in onda i loro palinsesti affidandosi al T2, non potranno essere viste con televisori e decoder attuali. Di conseguenza quelli che abbiamo nelle nostre abitazioni dovranno essere rottamati. Una sterzata non di poco conto che qualcuno definisce un nuovo
switch-off, evocando il caos e i problemi che avevano accompagnato negli anni scorsi il passaggio alla tv digitale con acquisti in massa di nuovi apparecchi,
black-out degli schermi, continue risintonizzazioni. E soprattutto spese tutt’altro che trascurabili per le famiglie: oggi un televisore base T2 di 22 pollici costa dai 140 ai 165 euro e un decoder di nuova generazione dai 30 in sù. Ma perché questa trasformazione? Il futuro standard è una tecnologia avanzata che permette di “allargare” l’etere ricorrendo a una tecnologia più efficace di trasmissione e a un software che comprime i segnali televisivi (quello adottato nel continente si chiama Hevc). In un canale tv dove con il “digitale 1” entrano fino a sei programmi, possono passarne anche dieci. Questo significa che il T2, capace di far transitare un maggiore carico di dati nello stesso segmento di etere, permetterà di portare nei salotti la televisione in 4K, ossia in formato cinema, che è molto “pesante”. Non solo. Lo standard più evoluto fa anche risparmiare spazio. Ed è proprio questo secondo effetto che sta dietro all’avvicendamento. La Commissione europea ha stabilito che un’altra porzione dell’etere passi dalla televisione alla telefonia mobile per favorire la banda larga senza fili. Era già successo nel 2001 quando l’Italia aveva messo all’asta un pacchetto di frequenze sottratte alle tv (in questo caso solo locali) per cederle alle compagnie telefoniche. Ora l’operazione verrà ripetuta perché la Ue non intende perdere il treno del 5G su cui Bruxelles sta investendo molto. In realtà in Germania e Francia la “migrazione” verso il pianeta degli smartphone si è già conclusa e ha fruttato milioni di euro allo Stato. Roma, invece, è in ritardo. L’Europa aveva fissato per il 2020 il termine ultimo per il trasloco ma l’Italia ha chiesto (e ottenuto) che il tutto avvenga nel 2022. Dietro lo slittamento c’è l’intenzione di scongiurare l’ennesimo braccio di ferro con le reti televisive. Infatti la banda che passerà alle telecomunicazioni è occupata da sei stazioni nazionali (fra cui tre di Mediaset) e da numerose emittenti locali. Con la prossima cessione, le frequenze tv resteranno pochissime: appena 14 a livello nazionale. In pratica non ci sarà spazio per tutti. Così il governo Renzi ha pensato di puntare sul T2 per far “entrare” le attuale reti tv in un etere ridotto. «E non ci sarà alcuna morìa di emittenti, soprattutto locali», ha assicurato ad
Avvenire il sottosegretario con la delega alle comunicazioni, Antonello Giacomelli. Però una parte di canali dovrà essere spenta comunque. E già si ipotizzano maxi-risarcimenti ai grandi network che, con le stazioni del territorio, saranno obbligati a liberare le frequenze assegnate dallo Stato agli editori fino al 2032. L’Unione europea ha previsto un costo massimo di 890 milioni da suddividere fra 14 Stati membri, ma sarà ogni esecutivo a doversi occupare in prima persona della trattativa con le tv. Per accelerare l’era T2 si pensa di imporre la “conversione” di alcuni canali al futuro sistema. E dal prossimo gennaio potrebbero iniziare le trasmissioni con il digitale di seconda generazione. Alla Rai verrebbe chiesto di “fare da lepre” proponendo palinsesti con il nuovo standard e favorendo quindi il ricambio dei televisori. Una sperimentazione è già in corso in Valle d’Aosta. Però si tratta di un progetto pilota del Centro ricerche Rai di Torino che addirittura guarda a una variante del T2 in grado di unire programmi tv e servizi per cellulari, tablet o automobili. Troppo avanti.