Un «sì» riassuntivo estende le pratiche illecite ai sette Tour de France vinti tra il 1999 e il 2005. Senza la spinta del doping, ammette, non sarebbe stato possibile vincere: «Non secondo me». Per 13 anni, il “cowboy” Lance Armstrong ha negato ogni accusa. Ora, con l'immagine a pezzi e il rischio di procedimenti, vuota il sacco. «Perchè ora? È la domanda migliore, la più logica. Non so se ho la risposta giusta. Comincerò dicendo che è tardi per molte persone ed è colpa mia. È stata una grande bugia ripetuta tante volte», dice pensando ad una «storia perfetta». La sua. «Battere la malattia, vincere sette Tour, un matrimonio felice» che «non era vera».
Alla fine, dice, era diventato «impossibile» continuare. Il doping, ripete Armstrong, era l'unica soluzione pervincere. «Non ho inventato io quella cultura, ma non ho provato a fermarla. E di questo devo scusarmi, è qualcosa per cui lo sport ora sta pagando un prezzo. Mi dispiace» ma «io avevo accesso a quello che era disponibile per tutti». L'agenzia antidoping statunitense (Usada) ha radiato Armstrong dopo averlo giudicato il cardine del più complesso sistema antidoping mai visto. L'Usada assegna a Armstrong un ruolo da “boss”: «Io ero il leader del team ma non il general manager o il direttore sportivo - ribatte l'ex corridore -. Il leader dà l'esempio, ma non c'è mai stata un'imposizione dall'alto. Eravamo tutti adulti e ognuno ha fatto la propria scelta. Qualcuno ha deciso di non farlo". Armstrong fa riferimento a «miei error»" e limita il discorso alla propria esperienza: «Non voglio accusare nessun altro». Tra gli "errori", dice il texano, non c'è il Tour de France 2009, quello chiuso al terzo posto dopo il clamoroso ritorno alle competizioni. «È l'unica cosa che mi fa davvero arrabbiare. Non mi sono mai dopato dopo il mio ritorno, ho superato il limite per l'ultima volta nel 2005», dice rivendicando la “pulizia” del 2009 e del 2010. «Mi pento di essere tornato nel 2009? Se non fossi rientrato, ora non saremmo qui». Tutta la vita, e non solo la carriera, è stata dominata dall'«irrefrenabile desiderio di vincere a tutti i costi».
E, grazie al doping, «le vittorie erano quasi automatiche. Era come gonfiare le gomme, come mettere l'acqua nelle borracce». Ora, però, «mi vergogno assolutamente». Il pensiero va al discorso tenuto dopo l'ultimo trionfo al Tour nel 2005: «Mi sono ritirato subito dopo. Ci si può congedare in maniera migliore. Quella faceva schifo», dice ora. All'epoca, però,non si sentiva un imbroglione: «Non la vedevo così, pensavo di competere allo stesso livello degli altri».Le reazioniLa confessione di Lance Armstrong di essersi dopato per anni per conseguire le sue vittorie «sono una pagina nera» per lo sport: è il commento del Cio, il Comitato Olimpico Internazionale. «Non ci può essere posto per il doping nello sport e il CIO condanna senza riserve le azioni di Lance Armstrong e di tutti coloro che cercano un vantaggio sleale nei confronti dei concorrenti attraverso l'assunzione di farmaci», si legge nel comunicato del Cio.Durissima la reazione di Filippo Simeoni, il ciclista che per rimo, nel 2003, accusò il sistema di doping messo in piedi da Lance Armstrong e dal dottor Michele Ferrari. «Le scuse di Armstrong posso anchericeverle ma l'umiliazione è stata tanta. Ho avuto tanti danni sia a livello sportivo che economico e non so se potrei accettare le sue scuse», ha detto Simeoni.Le parole di Armstrong, continua Simeoni «mi lasciano indifferente e non mi risarciscono di tutte le offese, le ritorsioni e le umiliazioni che ho subito». Che chiede al texano «una confessione pià compòeta e dire le cose che veramente farebbero bene all'ambiente del ciclismo, dove ci sono ancora troppe persone che non dovrebbero più starci».