giovedì 20 luglio 2023
In un volume di ritratti (tra cui Giovanni XXIII) la studiosa del totalitarismo analizza come il “chiacchiericcio” ostacoli convivenza e agire politico. Ma nel buio restano scintille luminose
Hannah Arendt fotografata da Barbara Niggl Radloff al primo Kulturkritikerkongress, nel 1958

Hannah Arendt fotografata da Barbara Niggl Radloff al primo Kulturkritikerkongress, nel 1958 - WikiCommons

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«Il mondo si estende tra gli uomini e questo “in-between” che, al contrario di quanto abitualmente si pensi, è molto più degli individui o del singolo, è oggi oggetto della più grande preoccupazione e dello sconvolgimento più evidente in quasi tutti gli angoli del mondo. Persino là dove il mondo è ancora, o è mantenuto ancora, più o meno in ordine, lo spazio pubblico ha perso il potere di illuminare, tipico in origine della sua stessa essenza», scrive Hannah Arendt nel saggio dedicato a Lessing e pronunciato, il 28 settembre 1959 ad Amburgo, in occasione del conferimento dell’omonimo premio. Il cammeo destinato al pensatore tedesco è uno dei ritratti, insieme a quelli dedicati a Rosa Luxemburg, Giovanni XXIII, Karl Jaspers, Karen Blixen, Herman Broch, Walter Benjamin, Bertolt Brecht, allo studioso di politica Waldemar Gurian e al poeta Randall Jarrell, raccolti nel volume L’umanità in tempi bui (pagine 294, euro 22,00), per la prima volta tradotto integralmente in italiano dall’editore Mimesis e che sarà in libreria da domani, accompagnato dalla curatela di Beatrice Magni.

Arendt (1906-1975) non necessita di soverchie presentazioni. La sua ricerca filosofica è volta prevalentemente a indagare la pratica dell’agire, in particolare dell’agire politico, che assume tutta la sua forza se compreso e realizzato in un mondo abitato dalla pluralità di uomini. Se il fenomeno del totalitarismo, di cui è una delle pionieristiche e maggiori studiose, fa da sfondo alle vite di quasi tutti i personaggi affrontati dalla pensatrice, i tempi bui non caratterizzano solo l’epoca dei regimi politici novecenteschi, come con chiarezza non esita a precisare Arendt nell’estratto pubblicato qui a fianco e risalente al gennaio 1968. « La storia ha conosciuto molti periodi di tempi bui, – insiste nel discorso su Lessing – in cui lo spazio pubblico si è oscurato e dove il mondo è divenuto così incerto da indurre le persone a chiedere alla politica la sola garanzia di poter mantenere i propri interessi vitali e la propria libertà privata».

L’esclusione del mondo, trattato come se « non fosse che una facciata dietro la quale le persone potevano dissimularsi e giungere infine a comunicare con i loro simili senza riguardo per il mondo che esisteva tra di loro», porta a delle conseguenze di cui il totalitarismo non è che una manifestazione, seppure la più radicale. Ora, nel corso dei tempi bui, «quel mondo stesso che nasce tra gli individui e in cui tutto ciò che ciascuno porta con sé dalla nascita può diventare visibile e comunicabile», si eclissa. Esso viene offuscato dal “chiacchiericcio”, disturbato da un uso strumentale della parola che dissimula la realtà rendendo impossibile abitare questo “in-between”, vale a dire lo spazio mondano che, al tempo stesso, separa e unisce gli uomini rendendo possibile il loro agire e vivere insieme.

Eppure, sottolinea Arendt, anche nei periodi più oscuri, dei quali gli uomini non si avvedono a causa dell’uso mellifluo e sviante delle parole che non raccontano più il mondo ma lo occultano, delle scintille luminose lasciano aperto uno spiraglio. Una flebile luminosità che permette allo spazio pubblico di far luce sulle questioni umane, di dar nuovamente voce a quel mondo che è molto più della somma degli individui e singoli che lo abitano. Tra le scintille che offrono questa possibilità figura, per Hannah Arendt, anche Angelo Roncalli, salito al Soglio pontificio con il nome di Giovanni XXIII nel 1958. Della figura del Papa Arendt sottolinea «la completa indipendenza, frutto di un autentico distacco dalle cose del mondo, la straordinaria libertà da pregiudizi e convenzioni, che abbastanza spesso potrebbe tradursi in uno spirito quasi à la Voltaire, una stupefacente capacità di ribaltare ogni situazione”.

A definirne i tratti salienti è il suo essere nel mondo senza essere del mondo. Il legame che mantiene con le sue origini, la semplicità nell’offrirsi agli altri e un pressante senso della giustizia sono improntati tutti alla Sequela, rinforzata dalla fede. «“Questo è il mio esempio: Gesù Cristo”, ben sapendo, anche a diciott’anni, che “assomigliare al buon Gesù” significava essere “considerato come un pazzo”», sottolinea Arendt, riportando le parole del Santo Padre. È a Giovanni XXIII e alle altre figure raccontate dalla filosofa tedesca, che ai tempi bui, destinati a spingere gli uomini nel privato della «società degli individui», possono seguire periodi in cui gli uomini riscoprono il mondo per tornarvi a praticare l’agire politico.

L'inedito / «Figure così diverse: per tenerle insieme mi sono ispirata a Brecht»

Tutti nel ’900, tranne Lessing, testimoniano di un clima di vuoto, ingiustizia e disordine ben descritto anche da Sartre e Heidegger

Non potrebbero esistere persone più diverse le une dalle altre tra Lessing, Luxemburg, Giovanni XXIII, Jaspers, Blixen, Broch, Benjamin, Brecht, Gurian e Jarrell. E non è difficile immaginare il loro disappunto - se solo potessero dire la loro - per il fatto di essere state per così dire messe insieme in uno spazio comune. In comune, infatti, esse non hanno né le abilità, né le convinzioni, né la professione, né l’ambiente di provenienza; tranne che in un caso, non strinsero tra di loro alcuna relazione. Ciò che condividono, eccetto uno, è il periodo in cui si svolse la loro vita: il mondo della prima metà del XX secolo, con le sue catastrofi politiche, i suoi disastri morali e lo straordinario sviluppo delle arti e delle scienze. E se quest’epoca causò la morte di alcune di loro ed ebbe un’influenza determinante sulla vita e sull’opera di altre, alcune non ne furono che tangenzialmente toccate, e si potrebbe dire che nessuna di loro ne sia stata condizionata.

Chiunque cercasse qui delle figure rappresentative di un’epoca, esempi dello Zeitgeist o protagonisti della Storia (con la S maiuscola) resterebbe deluso. E tuttavia l’epoca - i “tempi bui” di cui parla il titolo - affiora, credo, in ogni angolo di questo libro. Ho preso a prestito queste parole dalla famosa poesia di Brecht A coloro che verranno, che parla di fame e di disordine, di massacri e assassinii, di rivolta contro l’ingiustizia e di disperazione («Quando solo ingiustizia c’era, e nessuna rivolta »), di odio legittimo («Anche l’odio contro la bassezza stravolge il viso»), di giustificata collera («Anche l’ira per l’ingiustizia fa roca la voce»). Tutto questo era reale, perché avveniva pubblicamente; non vi era nulla di segreto, né di misterioso. E tuttavia non era affatto visibile a tutti, e per niente facile da percepire; poiché fino al momento esatto in cui la catastrofe toccò tutto e tutti essa era dissimulata, non dalla realtà ma dalle parole, le parole ingannevoli e meravigliosamente efficaci di quasi tutte le personalità ufficiali che, di continuo e con molteplici e fantasiose varianl’esistenza ti, trovavano spiegazioni esaurienti per ogni sgradevole evento e per ogni giustificato timore.

Quando pensiamo ai tempi bui e a coloro che vivono e crescono in essi è necessario considerare anche questo occultamento a opera dell’“establishment” - o “sistema”, come si diceva a quei tempi - e da esso generalizzato. Se la caratteristica dello spazio pubblico è quella di far luce sulle questioni umane, garantendo un luogo in cui gli individui appaiano e possano mostrare, nel bene e nel male, con azioni e con parole, chi sono e ciò di cui sono capaci, quando quella luce viene spenta da “vuoti di fiducia” e da un “governo invisibile”, da parole che non rivelano la realtà ma la insabbiano con esortazioni - morali o di altro tipo che, con il pretesto di difendere le antiche verità, sviliscono ogni verità a un livello di trivialità senza senso, quando quella luce viene spenta è il buio a dominare. Non c’è nulla di nuovo in tutto questo. È la situazione descritta da Sartre trent’anni fa, in La nausea, nei termini di cattiva fede ed esprit de sérieux, la situazione cioè di un mondo in cui chiunque viene pubblicamente riconosciuto come parte dei salauds e in cui tutto ciò che è esiste solo come un fatto opaco e privo di senso, che contribuisce a diffondere l’oscurità e suscita disgusto.

Una situazione identica a quella descritta, quarant’anni fa, da Heidegger, che nelle righe di Essere e tempo, con una precisione senza precedenti, tratta dell’“esserci”, dei suoi “discorsi vani” e, in generale, di tutto ciò che, invece di essere preservato e protetto nell’intimità del sé, è costretto ad apparire in pubblico. Nella descrizione heideggeriana dell’esistenza umana tutto ciò che è reale o autentico è letteralmente assalito dall’inquietante potere del “chiacchiericcio”, irresistibilmente generato dallo spazio pubblico. Un potere che determina umana di ogni giorno in ogni singolo aspetto e che impedisce, precedendolo, il manifestarsi di senso - o di non senso - di tutto ciò che il futuro potrebbe riservare. Secondo Heidegger, il solo modo per sottrarsi all’“incomprensibile barbarie” del quotidiano mondo comune è il ritiro in quella solitudine che i filosofi, a partire da Parmenide e Platone, hanno contrapposto allo spazio della politica. Ma qui non ci interessa la pertinenza filosofica delle analisi di Heidegger, né siamo interessati alla tradizione di pensiero filosofico che la sottende: quello che qui conta è solo l’analisi di alcune esperienze fondamentali dell’epoca e la loro descrizione concettuale.

Ciò che importa, nel nostro contesto, è quanto l’affermazione «la luce di ciò che è pubblico oscura tutto» sia riuscita ad andare al cuore della questione, ponendosi precisamente come la sintesi migliore delle condizioni esistenti. I “tempi bui” nel senso più generale, come qui li intendo, non sono, in quanto tali, assimilabili alle mostruosità di questo secolo, di certo di per sé orribili in modo inedito. I tempi bui, al contrario, non solo non sono nuovi, ma, anzi, non sono nemmeno eccezionali nella storia, benché forse sconosciuti a quella americana, che ha comunque, anch’essa, i suoi scheletri nell’armadio. Una convinzione profonda sta alla base dello sfondo indistinto contro il quale si ergono i personaggi che seguono: che, anche nei tempi più bui, noi possiamo avere il diritto di raggiungere una qualche luce e che essa derivi meno dalle teorie o dai concetti e più da quella fiamma incerta, vacillante e spesso flebile che uomini e donne, nella loro vita e nella loro opera, riescono a far brillare, in qualsiasi circostanza, e a diffondere nello spazio e nel tempo a loro concesso su questa terra. Occhi così abituati al buio, come sono i nostri, faticheranno a distinguere se la loro luce fu quella di una candela o di un sole ardente. Ma una valutazione così oggettiva mi sembra una questione di secondaria importanza, che possiamo tranquillamente lasciare a coloro che verranno dopo di noi.

Hannah Arendt

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