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È un bellissimo, autentico, sincero memoir familiare La traversata notturna di Andrea Canobbio (La nave di Teseo, pagine 526, euro 21,00), opera nella cinquina del premio Strega, il cui vincitore verrà votato il 7 luglio. Canobbio, nato a Torino nel 1962, rievoca la figura paterna sullo sfondo dei luoghi della sua città, “attraversata” non solo di notte, anzi in verità più che altro alla luce diurna, ma nelle oscurità dell’esistenza, delle esperienze, di una vita in famiglia prepotentemente segnata dalla depressione paterna.
Andrea nasce a distanza di quindici anni dalla prima delle due figlie della coppia, che si era sposata nel 1946. Il futuro scrittore, con due sorelle maggiori, conosce dunque un padre già maturo. E già malato. Questa malattia lo connota sin dall’inizio: «La sua depressione era ormai un rumore di fondo, né grandi tempeste né improvvise schiarite». Dodicenne, Andrea si affaccia alla vita e alle sue gioie. Ha appena baciato per la prima volta una ragazzina. Ma quel momento così inebriante di apertura al futuro è casualmente seguito dal pianto del padre che una mattina si china sul figlio che ancora dorme per baciarlo, chiedendogli di pregare per lui.
Lo scrittore ricorda, tra i pochi momenti condivisi con il genitore, le uscite per andare in farmacia, dal barbiere o all’autolavaggio: «delle poche cose che facevamo insieme, l’autolavaggio era la più avventurosa». Il padre stesso a un certo punto rimpiange di non essere riuscito a diventare amico del figlio. Ma a tale amicizia – o, se vogliamo, a un’identificazione del figlio con il padre, o quanto meno a una loro più empatica vicinanza – ostano, come si esprime l’autore, «la sua assenza dalla mia vita, la sua mancanza di interesse nel mio destino, l’indifferenza per i miei desideri e le mie inclinazioni».
Il padre era ingegnere. Una possibile ragione dell’insorgere della sindrome depressiva potrebbe essere legata alla morte accidentale di un operario in un cantiere edile sotto la sua responsabilità. Per questo tragico fatto era stato indagato, ma alla fine era stato prosciolto. Oppure potrebbe essere stato il trauma della guerra, combattuta sul fronte russo. Il narratore ingaggia una serrata indagine sull’origine del disagio paterno, formulando ipotesi e congetture, seguendo con accanimento una certa pista sulla base dei deboli indizi che emergono dalle memorie familiari conservate in vecchie agende, documenti militari o civili, sbiadite fotografie (materiali in parte riprodotti nel volume). «E poiché l’universo non significa mai abbastanza, la ricerca del senso non avrà mai fine», medita a un certo punto. Ma è una ricerca necessaria a superare un senso di colpa: «Non sono mai riuscito a prendere sul serio la sua malattia, ho sempre svalutato la sua autosvalutazione».
La traversata notturna è insieme la storia di una famiglia e di una città (i suoi palazzi, i musei, le chiese, con una preferenza per i monumenti meno noti). Ha una forte dimensione metaromanzesca, essendo un racconto del padre e insieme il racconto del tentativo, e delle insormontabili difficoltà, di scrivere un romanzo sul padre: «Da quando avevo iniziato a scrivere», riconosce Canobbio, «non facevo altro che scrivere libri su mio padre mascherati da romanzi». Il libro, con il suo andamento divagante e digressivo, raggiunge in alcune pagine punte notevoli di felicità narrativa. È, per lo scrittore, il romanzo di una vita: opera che segna una piena maturità umana e creativa. È un libro che non poteva essere scritto prima della scomparsa del padre. Momento doloroso, in cui chi ha perso un genitore non può non riconoscersi, preludio a una sorta di risarcimento postumo, nella ricerca di un dialogo, per via di riflessione e di scrittura, che non potrà più avvenire, ma che rimane una disperata aspirazione. Perché se c’è un peso davvero insopportabile, è quello del silenzio e dell’oblio, la tristezza di sapere che non ci saranno più occasioni per spiegarsi.