Sulla cresta del Monte Pelmo - Archivio Avvenire
Delle montagne, delle Alpi, dell’umanità che ruota attorno, racconteranno, nell’ambito di pordenonelegge, i nuovi libri di Daniele Zovi – Sulle Alpi. Un viaggio sentimentale (Raffaello Cortina, pagine 232, euro 22, presentazione dopodomani allo Spazio Gabelli), itinerario (anche interiore), alla scoperta di un mondo vicino e al tempo stesso lontano, simbolico e reale – e Maurizio Bait – Alpi d’Oriente (Ediciclo, pagine 192, euro 16, presentazione sempre dopodomani al Convento di San Francesco) –, alla scoperta delle Alpi Giulie e del Carso attraverso, come dice il sottotitolo storie dimenticate di grandi “uomini, donne, foreste e animali”.
C’è un punto di partenza che accomuna i due autori ed è una frase tratta dal prologo del libro di Bait: «Non esiste – scrive – una via universale alla montagna». Sì, perché come riporta Zovi citando Kundera in esergo a uno dei capitoli del suo libro, «le strade si ramificano in strade più piccole e in sentieri ancora più piccoli», ma soprattutto perché il cammino, l’itinerario, è sempre anche un percorso interiore, alla scoperta di un mondo vicino e al tempo stesso lontano, simbolico e reale insieme. Un altro punto chiave che accomuna i due libri e i due autori è la montagna come scelta di vita: Zovi è scrittore e divulgatore, per quarant’anni ha prestato servizio nel Corpo forestale e oggi è tornato là dove è nato, sull’Altopiano di Asiago; Bait e giornalista e autore, vive tra Trieste e Valbruna: «Fin da piccolo – dice – tutte le volte che ho potuto sono andato in montagna. Ora sono diventato parte di questo tutto che è la montagna, una via interiore: Bonatti – continua – parlava di “cima interiore”, una manifestazione di spiritualità e crescita interiore. In Himalaya le montagne sono considerate divinità, l’alta montagna è una manifestazione del sacro. La montagna, in tutte le fasi più critiche della mia vita, c’è stata». Che il vero alpinismo nasca dall’anima lo diceva anche il leggendario alpinista polacco, Krzysztof Wielicki, oggi 74enne, in un’intervista di qualche tempo fa ad “Avvenire”, ed è proprio da lui che si snoda l’inizio del dialogo con Zovi, sul tema del senso e del valore dell’esplorazione in un mondo sempre più votato alla velocità: «Da una parte – dice Zovi – abbiamo una ricerca di performance, arrampicata sportiva, cronometro, molto lontana dall’idea che ho io di montagna, così come credo ci sia un’esasperazione dell’alpinismo eroico, divenuto una macchina industriale che spinge le persone a quote sempre più alte con la prima preoccupazione, una volta in cima, che ci sia campo per comunicare sui social l’impresa; credo tuttavia ci sia ancora uno zoccolo duro più esteso e vasto di persone che cerca nella montagna il piacere di sentire il proprio cuore, il proprio respiro, persone che ricercano l’agire in armonia con l’ambiente. Credo sia anche cresciuto il numero di persone che va in montagna per conoscerla, alla ricerca di queste emozioni, per cogliere le caratteristiche più autentiche che è capace di offrire, come la bellezza del silenzio e del paesaggio. Andare in montagna è poetico, perché proprio come la poesia, la montagna lascia l’essenziale e toglie il superfluo».
La poesia è centrale nel libro di Zovi, che tra le sue pagine racconta anche gli erbari di Camillo Sbarbaro, lichenologo di fama internazionale, oltre che poeta, cita la luce del Monte Bianco descritta da Goethe e fa alcuni altri riferimenti letterari, fondamentali anche per Bait, con cui chiacchierando citiamo Il Monte Analogo di René Daumal, la recente uscita per 66thand2nd di Diego Alverà (Solo. Walter Bonatti dal K2 al Dru) a 70 anni dalla prima scalata del K2 del 31 luglio 1954 e altri testi “sacri” della montagna come Le antiche vie di Robert Macfarlane e I conquistatori dell’inutile. Dalle Alpi all’Annapurna, dell’alpinista francese Lionel Terray, in arrivo in una nuova edizione a novembre per Hoepli.
È a partire da questi riferimenti che Alpi d’Oriente di Bait si presenta come un compendio di storie e leggende, cui fanno da sfondo le Alpi Giulie, costellate anche da riferimenti alla comunità di Valbruna, che si palesa attraverso le sue leggende e gli episodi di cronaca, spesso correlati alla Prima Guerra Mondiale, o attraverso lo sguardo degli alpinisti e delle alpiniste che hanno scalato quelle montagne, intrecciando storie di avventura, passione e solitudine, non però nell’accezione negativa che potrebbe avere il termine solitudine, quanto nella volontà di ricerca della riconciliazione dell’anima, spiega Zovi: «Quando ero giovane – dice – provavo talvolta momenti di solitudine, di noia, ma oggi non capita più; da molti anni in montagna e in natura ho capito che non si è mai soli. Ci sono le presenze di chi ci ha preceduto, di chi ha fatto quel sentiero prima di noi, dei segni della guerra, ma soprattutto c’è la presenza in natura di alberi e animali, dei segni che lasciano. Anche quando non li vediamo, non li sentiamo, quando non riusciamo a cogliere, sappiamo che quei segni abitano quei luoghi. Un’altra cosa che si impara andando a camminare in montagna – continua – è il valore del silenzio, che porta a smettere di paura del vuoto, che apre alla possibilità di accorgersi di qualcosa che prima non si notava». Questa attenzione, questo valore, questo recupero dello sguardo, nel tempo è cambiato, attraverso un rapporto con l’ambiente, ma anche attraverso una conservazione della memoria storica, un valore del tramandare, mutato di generazione in generazione: «La montagna – dice Bait – dà una serie di emozioni da una parte e difficoltà dall’altra, che sono imponderabili, come lo scioglimento dei ghiacci o la caduta dei sassi. Si deve viverla accettando questa imponderabilità e oggi questo per le persone non è sempre possibile; c’è inoltre un problema di overtourism, una fruizione talmente massiva della montagna per la quale temo che l’ecosistema purtroppo non reggerà a lungo. Il modo migliore per avvicinarsi al bosco, alla radura, alla roccia, è sempre l’umiltà di chi sia consapevole di rappresentare soltanto una minima parte del Tutto. La Montagna esige rispetto e prudenza in cambio di sensazioni così straordinarie che non si lasciano dire. La montagna consente la meditazione, il fluire di idee, l’avvicinamento al sacro, tutte esperienze che nel caos quotidiano sono spesso impraticabili. La montagna non va mai data per scontata. Con la montagna cerco di fare ogni giorno un’esperienza interiore», o come dice Zovi, un’esperienza «ancestrale, sacra». La montagna, «con la sua capacità di guardare dall’alto lo scorrere della storia dell’uomo, ci porta in cima elevandoci spiritualmente; in questo senso andare in montagna è un’avventura dello spirito. Camminare con sguardo attento – continua – serve proprio a questo, a capire più profondamente ciò che si vede, a comprendere il cambiamento», superando in questo modo anche l’idea di conquista, e abbracciando il rispetto come valore chiave per avvicinarsi alla montagna, viverla ed esserne grati.