martedì 22 febbraio 2022
Nascono i corsi di meditazione cristiana. Parla Fabio Colagrande giornalista di Radio Vaticana e coordinatore della Rete che unisce le realtà ecclesiali che praticano la preghiera del cuore
Alla scuola del silenzio per farsi guardare da Dio
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In un mondo in cui il rumore la fa da padrone, così come il vociare diffuso di persone che credono di avere sempre cose fondamentali da dire su ogni argomento, ecco che il silenzio può diventare quasi un miraggio; un antidoto alla marea montante e inarrestabile della superficialità caciarona, per dirla alla romana. Se poi al desiderio di silenzio si unisce la possibilità di incontrare persone che lo praticano quotidianamente come forma di meditazione e di preghiera quel miraggio può diventare un concreto stile di vita, un modo nuovo e profondo di vivere la fede. A questa «sete sempre più diffusa di silenzio e di profondità umana» cerca di rispondere la “Rete sulla via del silenzio” che ieri, con l’Associazione San Leonardo al Palco, ha lanciato, con tanto di programma, la “Scuola delle Scuole di meditazione cristiana” con i primi otto appuntamenti di tre giorni che si svolgeranno fra marzo e ottobre, affidati ad altrettante scuole di preghiera, nel convento della fraternità di San Leonardo al Palco nei pressi di Prato. «Una proposta che viene fatta a tutti con l’idea di far conoscere un modo di vivere la preghiera e la fede che ha radici nella tradizione cristiana, nell’Antico Testamento e nei Vangeli, ma che da molto tempo è sparito dai radar delle nostre comunità ecclesiali. Basti pensare che in una città come Roma solo due parrocchie hanno gruppi che praticano la meditazione cristiana. Eppure tante volte nel suo magistero Papa Francesco ha parlato di silenzio, di contemplazione, ha invitato all’ascolto, a farsi guardare da Dio». A parlare è Fabio Colagrande, giornalista vaticanista della Radio Vaticana, dove fra le altre cose cura la trasmissione La finestra sul Papa. Il mondo secondo Francesco e che della Rete della via del silenzio è il coordinatore e promotore con Antonella Lumini, Marco Guzzi, padre Emiliano Antenucci, Juri Nervo e don Paolo Squizzato.

Persone molto diverse fra loro.

Sì, anche nello stile di preghiera, nel modo di esprimere di pensare la relazione con Dio, ma significative di una Chiesa che vuole rappresentare la libertà dei figli di Dio, il desiderio di un incontro intimo con Lui.

Cos’è la Rete sulla via del silenzio?

È un gruppo di persone unite dall’interesse per la preghiera silenziosa e la meditazione in ambito cristiano. Per- sone che fanno capo a diverse esperienze e realtà ecclesiali italiane. Cattolici che in vari modi praticano la preghiera silenziosa e sono interessati a promuoverla. Insomma, la Rete vuole creare dei collegamenti con le persone che vogliono avvicinarsi a questo stile di preghiera, per incontrare i Costruttori della preghiera o la Pustinia di Antonella Lumini, la Comunità mondiale per la meditazione cristiana oppure la Scuola del silenzio di padre Antenucci ad Avezzano o l’Eremo del silenzio di Juri Nervo a Torino e via dicendo.

Quando è nata?

È un’idea maturata negli anni, anche grazie ad alcune mie esperienze di preghiera silenziosa e di meditazione, con l’esigenza di fare qualcosa per condividere le tante esperienze sorte all’interno del mondo cattolico italiano, ma sostanzialmente isolate. Così nel febbraio del 2018 abbiamo fatto un primo incontro a Roma, poi un secondo a Firenze nel mese di giugno e un terzo a Torino a novembre. È da questi primi confronti e dibattiti che è maturata l’urgenza di organizzare il primo incontro aperto al pubblico, che si è realizzato alla vigilia della pandemia, nel dicembre del 2019, al Pontificio Ateneo sant’Anselmo all’Aventino. È stato in quel convegno che Antonella Lumini fece la proposta di far nascere la “Scuola delle Scuole di preghiera” che, finalmente strutturata, abbiamo presentato ieri. Del resto il convegno aveva un titolo che nella sua provocazione voleva essere un nuovo inizio: “Rompere il silenzio sul silenzio”.

Perché provocatorio?

Al di là dell’inconsapevole provocazione di un incontro sul silenzio collocato a pochi giorni da un’esperienza come il lockdown che ci ha obbligato a meditare, spesso in solitudine, nelle nostre case, è provocatorio perché nell’attuale modo di fare e pensare la Chiesa il silenzio è come se non fosse contemplato. La meditazione, la preghiera silenziosa è guardata quasi con sospetto in molti ambienti ecclesiali eppure appartiene alla tradizione cristiana fin dai primi secoli, con numerose esperienze come quella dei Padri del deserto. Oggi sembra relegata quasi esclusivamente a scelte monacali, claustrali ed eremitiche. John Main, il monaco benedettino fondatore della Comunità mondiale per la meditazione cristiana, che fu al principio molto osteggiato, si rifaceva alla “Preghiera pura”, una forma di orazione diffusa nel IV secolo da san Giovanni Cassiano, il monaco che tramandò gli insegnamenti dei Padri del deserto a san Benedetto e alla Chiesa occidentale. Main riteneva fondamentale che i laici facessero preghiera profonda, soprattutto nella nostra attualità. Il suo successore alla guida della Comunità, padre Laurence Freeman, in una recente intervista che mi ha rilasciato per Radio Vaticana, ha ricordato che dalle vicende di Gesù nei Vangeli emerge chiaramente che era un maestro di preghiera silenziosa e sono frequenti i suoi inviti alla preghiera personale, all’ascolto di Dio che parla al cuore. Da molto tempo, invece, stiamo vivendo uno sbilanciamento verso l’esperienza comunitaria, che non può essere vissuta pienamente se non c’è un’esperienza spirituale personale profonda.

Quindi c’è la necessità di rompere il silenzio sul silenzio?

L’ho capito subito dopo aver fatto la mia prima esperienza di preghiera preghiera silenziosa.

Come è accaduto?

È stata Antonella Lumini a invitarmi a Firenze a pregare con lei nella sua Pustinia. Venendo da una esperienza ecclesiale tradizionale, parrocchiale e comunitaria, mi ha colpito moltissimo la dimensione del silenzio, dell’attesa. Ero abituato a concepire la preghiera come un momento di riflessione sulla Parola, su quello che dovevo cambiare della mia vita, sul chiedere a Dio la forza di fare e di cambiare me stesso... Quel giorno mi si è aperto un mondo: ho scoperto il silenzio e l’attesa della voce di Dio dentro di me. Mi sono sentito accolto da Dio nel mio stesso cuore.

E se un giovane oggi volesse fare la stessa esperienza a chi si rivolge?

È la domanda che mi sono fatto il giorno dopo, perché se voglio aiutare i poveri mi rivolgo alla Caritas, se voglio aiutare le persone ad accogliere la vita mi rivolgo al Movimento per la vita, se voglio aiutare i migranti ci sono tante realtà che se ne occupano, ma se voglio imparare a fare preghiera silenziosa a chi mi rivolgo? Chi me la insegna? E se non trovo nessuno e la mia fede non è strutturata diventa facile rivolgersi a realtà spirituali di altro tipo, a tradizioni religiose orientali...

La radio e il silenzio: due mondi che sembrano in contrasto fra loro.

Sembrano... Ma silenzio significa che prima di parlare bisogna esercitare l’ascolto. La Parola nasce dal silenzio. La radio, che va ascoltata, per sua natura privilegia il suono, la parola, ma la mia esperienza dice che la parola che “pesa”, la parola “piena”, non superficiale esce da chi ha abitudine al silenzio. Una radio ben fatta deve saper privilegiare questa parola ed essere, in questo modo, un vero servizio per chi ascolta.

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