Mosaico della battaglia di Gaugamela - Archivio fotografico Mann/Luigi Spina
Gli occhi grandi, il mento piccolo e le labbra leggermente contratte, l’atteggiamento fiero e pensoso, così Alessandro il Grande è raffigurato nel celebre mosaico della battaglia di Gaugamela, avvenuta nel 331 a.C., in cui la carica dei macedoni si abbatte su Dario III, re dei Persiani. L’opera, custodita nel Museo Archeologico di Napoli, proveniente da Pompei, dove era posta a pavimento nella Casa del Fauno, fu realizzata probabilmente da una locale bottega alessandrina tra la fine del II e l’inizio del I secolo a.C., ed è forse una copia musiva, fedele e ridotta, di un dipinto del grande Apelle. Nel mosaico Dario appare singolarmente in posizione sopraelevata, ritto sul suo carro, come se l’autore avesse voluto non già sottolineare l’aggressività del re macedone, ma il dramma dei Persiani, la loro indicibile paura di fronte alla irriducibile foga del conquistatore. Ma Alessandro è ricordato nella storia non solo per essere stato un grande condottiero, ma perché seppe avere riguardo per i popoli vinti, integrandone le culture, le religioni, i costumi. Sicché una ricognizione sulla sua figura diventa in qualche misura una lettura non solo della cultura greca che egli esportò fin nel cuore dell’Asia quanto degli intrecci anche profondi e originali, che quella cultura stabilì con i popoli di volta in volta assoggettati.
È quanto suggerisce una mostra ampiamente documentata e ricca di reperti, dipinti, sculture, documenti, oggetti preziosi e di decoro, provenienti da numerosi musei italiani e stranieri, da poco aperta a Napoli, presso il Mann ("Alessandro Magno e l'Oriente", fino al 28 agosto), e dislocata tra il grande Atrio e la sala della Meridiana, a cura di Filippo Carelli ed Eugenio Lo Sardo. Il distintivo dell’iniziativa appare infatti proprio la sottolineatura e l’approfondimento scientifico delle nuove istanze culturali sorte dalla intelligenza espansionistica del re macedone che, in poco meno di dieci anni e fino alla sua morte, avvenuta a Babilonia nel giugno del 323 a.C., raggiunse Persepolis, le piramidi egiziane, le montagne dell’Hindu Kush, le foreste equatoriali del Punjab, fino a penetrare nel cuore delle Indie, fondando villaggi e città (come le celebri Alessandrie, tra cui quella d’Egitto), immergendosi nel profondo delle culture locali, di cui sovente restò affascinato.
Non mancano invero, nella storia di Alessandro, luci ed ombre. Nei rapporti umani il re era irascibile, mutevole, impulsivo. È indubitabile tuttavia che le sue conquiste determinarono inediti e preziosi intrecci di culture. Centosettantasei sono le opere presenti in mostra, tra cui il busto-erma di Alessandro, del I sec d.C., proveniente dal Louvre e collocato in apertura del percorso espositivo. Sono poche in realtà le effigie veritiere del re. Forse l’unico ritratto certo è proprio quello del citato mosaico, di cui oggi si avvia un fondamentale e improcrastinabile restauro, che consentirà mediante una copertura trasparente di assistere alle varie fasi del lavoro. Nei giardini del museo, infine, sono state ricreate le suggestioni di alcuni paesaggi conosciuti dal macedone, attraverso la ricostruzione di piante, animali e profumi. A ribadire il taglio della mostra, che, al di là della evidente ricognizione scientifica, punta a un vivo, fondamentale coinvolgimento del pubblico.