sabato 13 luglio 2024
L'artista statunitense, tra i più noti del panorama mondiale, aveva 73 anni. La vita, la morte, la trascendenza sono al centro dei suoi lavori, molti dei quali sono ispirati al Rinascimento italiano
Bill Viola

Bill Viola - Alessandro Moggi / Palazzo Strozzi

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È scomparso a 73 anni Bill Viola, a causa delle complicazioni di un Alzheimer precoce. Nato a New York nel 1951 in una famiglia di origini italiane – e profondamente legato all’Italia da molti punti di vista tanto biografici quanto artistici – Viola è per molti versi il videoartista per eccellenza, ossia la figura che ha traghettato un genere sperimentale, a lungo oscillante tra il documentaristico e il concettuale, verso una dimensione più larga, in cui riconosciamo il desiderio di confrontarsi con la grande storia dell’arte. Allo stesso tempo ha portato a una decisiva maturazione della videoarte lavorando sullo specifico del medium, ossia l’immagine in movimento, separandolo nettamente da una narrazione di tipo cinematografico attraverso un peculiare uso del tempo rallentato fino alle soglie dell’immobilità che fa da incubatore a emozioni potentissime. Come egli stesso ha detto, “ho gradualmente realizzato che l’atto della percezione era in effetti una forma praticabile di conoscenza in sé e per sé, e non semplicemente un tipo di fenomeno. Ciò significava che quando tenevo in mano la videocamera e il microfono, tenevo in mano un sistema filosofico, non solo uno strumento di raccolta di immagini e suoni”. Il risultato è stato un lavoro compatto, immediatamente riconoscibile (e molto imitato), raffinatissimo e complesso, misterioso e insieme accessibile. Non a caso Bill Viola è stato uno degli artisti contemporanei di maggiore successo di pubblico. Inoltre la sua opera è imperniata sulla dimensione spirituale, con un approccio sincretico che mescola iconografia e simbologia cristiana con il buddhismo zen giapponese. Al centro del suo lavoro ci sono i momenti in cui l’uomo è chiamato a confrontarsi con il “sacro” – la nascita, la coscienza, l’amore, la perdita, la morte – senza paura di sfidare una prospettiva decisamente aperta al trascendente. In questo senso Bill Viola è stato anche la dimostrazione della fragilità dei tanti cliché che circondano l’arte contemporanea.

Dopo gli studi alla Syracuse University Viola alla metà degli anni 70 si trasferisce a Firenze, dove lavora nel pionieristico studio art/tapes/22 - incontrando figure come Jannis Kounellis, Mario Merz e Vito Acconci – ma soprattutto ha modo di vedere di persona l’arte toscana del Quattro e del Cinquecento (e su tutti Pontormo) che sarà una delle fonti principali dell’opera più matura, tanto dal punto di vista del motivo iconografico quanto nel dispositivo di polittici e predelle. Ma è naturalmente negli Stati Uniti che si svolge la sua carriera, segnata dalla partecipazione nel 1985 alla Biennale del Whitney, dove per la prima volta una installazione video è esposta insieme a dipinti e sculture, per arrivare a una affermazione globale, tanto di critica che di pubblico, negli anni ‘90. Nel 1995 rappresenta gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia, con cinque lavori tra cui The Greeting, ispirato alla Visitazione del Pontormo. Si susseguono quindi le personali nei principali musei internazionali. Negli ultimi anni sono state numerose le mostre in Italia, curate dalla moglie Kira Perov e dal Bill Viola Studio, tra cui quella a Palazzo Strozzi nel 2017 e, l'ultima, a Palazzo Reale di Milano nel 2023.

Tra i suoi lavori più famosi si segnalano il seminale The reflecting pool, del 1979, capolavoro che contiene in nuce la poetica delle opere a venire in cui una piscina in un bosco diventa superficie liminale tra mondi; Dolorosa (2000), video-dittico che mostra un uomo e una donna entrambi in lacrime; Emergence (2002), in cui un giovane emerge da un sacello segnato con la croce colmo d’acqua, aiutato da due donne, in una sequenza che combina parto e deposizione sulla base dell’imago pietatis; Tristan’s Ascension (2005), in cui un corpo genera una sorta di cascata d’acqua al contrario e ascende verso l’alto. O ancora Martyrs (2014), polittico di quattro video in cui altrettante persone sono sottoposte a un supplizio ciclico ispirato ai quattro elementi.

Proprio Martyrs è un caso interessante perché è una commissione della St. Paul Cathedral di Londra, a cui si è aggiunto nel 2015 il trittico Mary. «Questi due lavori – ha detto l’artista - simboleggiano alcuni dei profondi misteri dell’esistenza umana. Uno riguarda la nascita e l’altro la morte; uno il sollievo e la creazione, l’altro la sofferenza e il sacrificio. Se raggiungerò il mio obiettivo, entrambe le opere funzioneranno sia come oggetti estetici di arte contemporanea che come oggetti pratici di contemplazione e devozione tradizionali». Bill Viola è (quasi) l’unico artista a presentare opere di videoarte installate stabilmente in luoghi di culto: una terza opera è in Italia, nella chiesa di San Marco a Milano, dove dal 2002 è esposto il trittico Study for the path. Ma i suoi lavori sono stati presentati spesso in chiese: The Messenger nella cattedrale di Durham nel 1996, The ascension nel 2004 nel Duomo di Milano, Tempest nel 2008 sempre a St. Paul, nel 2014 The Passions nella cattedrale di Berna. A rimarcare, se necessario, le possibilità ancora ampiamente inesplorate dei cosiddetti “nuovi media” (ormai ampiamente storicizzati) nell’arte religiosa.

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