Daniele Del Giudice - Boato
La morte, avvenuta l’altra notte, di Daniele Del Giudice segna la scomparsa di uno dei più originali protagonisti della scena letteraria italiana degli ultimi 40 anni: uno scrittore appartato, che ha coniugato ricerca esistenziale, curiosità, pensosa leggerezza. Nato a Roma nel 1949, il suo esordio nella narrativa data al 1983, quando esce il romanzo
Lo stadio di Wimbledon
, racconto dell’inquieta ricerca di un giovane attorno alla vita dello scrittore triestino Bobi Bazlen, amico di Saba e Montale. Già in quel primo lavoro emergeva la scrittura raffinata, di cristallina precisione, memore della lezione di Italo Calvino, autore di riferimento per Del Giudice. Del resto era stato proprio Calvino a scoprirlo e a pubblicarlo da Einaudi, la casa editrice anche di tutti i suoi libri successivi.
Erano gli anni Ottanta, quando si delinea in Italia il fenomeno dei “giovani scrittori” o “nuovi narratori”: scrittori anagraficamente giovani (Del Giudice al suo esordio aveva 34 anni) che quasi sempre mettevano a tema la condizione giovanile. Rispetto a questa corrente, invece, Del Giudice si mostra da subito autonomo, rifuggendo dall’assecondare le tendenze mainstream. Da qui la fama di scrittore elitario, un’identità che si conferma nei romanzi successivi, disposti in maniera rarefatta (Del Giudice non era scrittore da un libro all’anno) lungo l’arco degli anni: Atlante occidentale (1985), che racconta il rapporto tra il fisico Pietro Brahe e lo scrittore Ira Epstein; Nel museo di Reims (1988), storia di Barnaba e della volontà di fissare nella memoria le immagini di un museo, prima di diventare cieco; Orizzonte mobile (2009), in cui l’autore incrocia la propria esperienza di un viaggio in Antartide con le descrizioni lasciate da naufraghi e da altri viaggiatori del passato; In questa luce (2013), sorta di libro-autoritratto composto di saggi e scritti autobiografici. Vanno ricordate anche le raccolte di racconti Staccando l’ombra da terra (1994), Mania (1997), I racconti (2016), contenente, quest’ultima, testi editi e inediti. Del Giudice aveva esordito come critico letterario nella redazione del quotidiano Paese sera” e anche in seguito scriverà importanti interventi critici: su Italo Svevo, Stefan Zweig, Primo Levi.
La raffinatezza che caratterizza tutta la sua produzione non gli ha tuttavia impedito di sviluppare una profonda attenzione alle questioni sociali e civili: in I-Tigi. Canto per Ustica (2001), scritto con Marco Paolini, si è interrogato, per esempio, sulle possibili chiavi di lettura della strage del Dc9 dell’Itavia precipitato nel giugno del 1980. Numerosi i premi e i riconoscimenti, tra cui il Viareggio-Rèpaci per l’opera prima, il Bagutta per i racconti dedicati al tema del volo di Staccando l’ombra da terra, nel 2002 il premio Feltrinelli - Accademia dei Lincei per l’opera narrativa. Domani, a Venezia, sua città di adozione, sarebbe stato insignito del Campiello per la carriera, con questa motivazione, firmata da Walter Veltroni, presidente della giuria dei letterati 2021: «Daniele Del Giudice ha scritto libri emozionanti e colti, ha indagato l’universo dei sentimenti umani e quello, solo apparentemente lontano, della tecnica e della meccanica. E il premio, davvero alla carriera, onora con immenso affetto uno dei massimi protagonisti della vita letteraria, culturale, civile del nostro tempo». Si sapeva già che lo scrittore, da tempo gravemente malato, non avrebbe potuto partecipare alla cerimonia. Ma non si poteva prevedere che sarebbe morto tre giorni prima di quell’appuntamento ideale, coronamento di un percorso artistico che certamente rimarrà nella storia della letteratura italiana.