La performance di Chick Corea, nel gennaio del 2020, a Los Angeles, per i Grammy Awards - Reuters
«Voglio ringraziare tutti coloro che durante il mio viaggio mi hanno aiutato. Mi auguro che coloro che hanno sentore di poter scrivere, suonare e fare performance lo facciano. Se non lo fate per voi stessi almeno fatelo per noi. Il mondo non solo ha bisogno di più artisti, è anche molto divertente». Se n'è andato così, con questo messaggio per i suoi fan sparsi in tutto il mondo la leggenda del jazz Chick Corea, morto a 79 anni l'altra notte a causa di una rara forma di cancro che gli era stata scoperta solo di recente. Era consapevole che per lui stava per arrivare l'ultimo fraseggio sonoro. «È stata una benedizione e un onore imparare e suonare con tutti voi – ha scritto il grande pianista americano anche ai musicisti con cui ha suonato –. La mia missione è sempre stata quella di portare la gioia del creare ovunque ho potuto, e averlo potuto fare con tutti gli artisti che ammiro è stata la ricchezza della mia vita». Musica, in parole, che risuona con il suo testamento di note da Spain a La Fiesta, e soprattutto l'album del 1968 Now He Sings, Now He Sobs, pietra miliare della sua carriera e della storia del jazz, un capolavoro di improvvisazione dove il contrabbasso di Miroslav Vitous e la batteria di Roy Haynes si fondono meravigliosamente con il suo pianoforte. Poco dopo arriverà la chiamata che lo lancerà nell'Olimpo del jazz: quella di Miles Davis. Corea suonerà il piano acustico e quello elettrico in alcuni dischi fondamentali del trombettista: In a Silent Way e Bitches Brew. Poi farà la sua strada diventando con Herbie Hancock e Keith Jarrett, uno dei più importanti pianisti jazz di quella generazione. Negli anni 1970 Corea fondò Return to Forever, gruppo di riferimento del movimento jazz-fusion. Nel 1986 sarà la volta degli Elektric Band, quintetto che qualche anno dopo si trasformerà in Akoustic Trio. Nominato 67 volte ai Grammy ha vinto il prestigioso riconoscimento in ben 23 occasioni, la prima nel 1976 con No Mistery insieme ai Return to Forever. Durante la sua carriera ha pubblicato più di 80 album.
A dispetto del suo nome e della sua nazionalità, in Armando Anthony (detto Chick) Corea c'è sangue calabrese. Era stato il nonno paterno, di Albi in provincia di Catanzaro, partito dalla Calabria come tanti prima e dopo di lui, per cercare fortuna negli Stati Uniti a cavallo tra l'Otto e il Novecento, a regalargli, dondolandolo da bambino sulle ginocchia, quel nomignolo "Chick" che lo ha reso celebre e inconfondibile nel mondo. In Calabria, aveva suonato nell'estate del 2012, in occasione del tour condiviso con Stefano Bollani: a Roccelletta di Borgia, davanti ai ruderi del Parco di Scolacium, fondale del Festival Armonie d'Arte, e Chick Corea aveva avuto modo di iniziare a ricomporre i tasselli del mosaico delle proprie radici identitarie. In Italia era stato spesso ospite di Umbria Jazz che nei canali social lo saluta con un «Addio Maestro». Anche quest'anno, a luglio, sarebbe dovuto essere fra i protagonisti della kermesse perugina. «Oltre cinquanta anni da protagonista della scena del jazz - si legge nel saluto di Umbria jazz - Corea, da pianista e da compositore, ha riversato in una miriade di formule e progetti, una versatilità che non ha eguali: piano solo, grandi duetti, straordinari trii, classiche formazioni jazz, ensemble da camera e orchestre sinfoniche, free jazz e fusion, post bebop e generi latini».Un grande musicista. Ma soprattutto una grande persona. «Era un marito, un padre e un nonno amato, ed era un mentore e un amico per molti», si legge nella nota che l’altra notte annunciava la sua morte. «Tramite il suo lavoro e i decenni trascorsi in tour per il mondo, ha toccato e ispirato la vita di milioni di persone». In un'intervista del 2018 a Jazz Night in America Corea disse: «Abbiamo il compito di essere un antidoto alla guerra e a tutti i lati oscuri di quello che accade sulla Terra. Siamo coloro che devono ricordare alla gente della loro creatività».