Louis Massignon nel 1962 per il suo ultimo pellegrinaggio ai Sette Santi dormienti in Bretagna
Tra gli ultimi grandi orientalisti, si è spento Bernard Lewis il 12 maggio a Voorhees, New Jersey, Stati Uniti. Dico orientalista e non mediorientalista. Non è una differenza da poco. L’orientalismo, gli orientalisti, compongono quel filone risolutivo di molti interrogativi geopolitici, di antropologia culturale, di archeologia e di lingue indo-orientali.
A partire dalla fine Ottocento alcuni nuclei di intellettuali di origine ebraica o islamica oppure cristiana, da Berlino, a Parigi, a Beirut, al Cairo stavano ridando vita ad una tradizione antica: ricerche che legavano in modo quasi surrealista il giudaismo e l’islamismo, così come Oriente e Occidente, in un comune passato armonioso e tentavano di progettare un nuovo futuro.
Queste figure, tra cui molti appartenenti a un’ala culturale del movimento sionista, anelavano ad una fusione panasiatica con i musulmani e trovarono nell’Oriente una sorta di portello d’emergenza attraverso cui fuggire alle aggressive minacce della modernità brutale. Nel secondo dopoguerra, nel linguaggio diplomatico, il nome di Medio Oriente è assurto a definizione universalmente utilizzata. In breve: quel territorio è un insieme di culture e luoghi originari delle tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo ed islamismo. Come osservava Bernard Lewis nel suo decisivo libro: La costruzione del Medio Oriente (Laterza, 2003): «Si sono plasmate le tradizioni e modalità fondamentali dell’islam nei domini dei califfi e dei sultani dei grandi imperi medioevali, in Paesi che erano abitati da gente di lingua araba, persiana e turca».
L’innesto dei processi di modernizzazione culturale dall’Europa al Medio Oriente, avvenne in maniera disordinata per essere assorbito da comunità e tribù differenziate e sparse. Il Medio Oriente ha come tratto culturale dominante il deserto. Che è un territorio in grado di 'comunicare' una forte rudezza negli stili di vita. Il deserto ha una capacità di plasmare comportamenti fortemente radicati nella sopravvivenza, nella continua ricerca dell’acqua come elemento da dove scaturisce la vita e la ricchezza di un clan o di un intero contesto geopolitico.
Deserto e cultura dell’Oriente: basta leggere i testi di Bernard Lewis, rendono conto di una particolare austerità di quei popoli che da quantità indefinite di piccoli clan vennero riunificati, in un unico linguaggio, dal loro grande conduttore Maometto, che poi trasformò in capacità di mobilitazione tellurica, quelle vaste popolazioni prima di lui divise e schiavizzate da signorotti della guerra. Di questo acuto filone Bernard Lewis ne era grande e ultimo erede. Non si comprendono bene gli studi e i suoi decisivi lavori sui conflitti mediorientali senza collegarlo alla grande scuola culturale di ricerche sulle radici dell’Islam, promossa all’inizio del Novecento da Louis Massignon e perciò da Charles de Foucauld, suo decisivo ispiratore e “guida” verso la comprensione evangelica e cristica d’abbassamento come cuore dell’Incarnazione messianica: il Servo di Jahvé, l’amore del Figlio.
Anche tra i migliori commentatori di Lewis, che troviamo in alcuni scritti di Fiamma Nirenstein, non viene indagato questo aspetto “sommerso” negli studi del grande orientalista da poco scomparso. L’aver, Lewis, costantemente saputo collegare la comunicazione violenta, immanente al messaggio del sacro mediorientale, con le dinamiche della dolcezza, dell’amore, dell’Unico creatore. In un complesso impasto di motivazioni simboliche profonde, di miti e riti, che agiscono nel corso dei secoli e che caratterizzano quelle “fratture di civiltà” approfondite da Lewis.
Ma perché Louis Massignon è così fondamentale nel profondo delle categorie più sociologiche di Bernard Lewis sulle derive dei differenti Islam? Quello sunnita, ma anche l’altro di marca iraniana, ancor più carico di influssi dell’India, vale a dire quello sciita. Per non dimenticare le differenti tipologie di mistica islamica “sufi” e ancor più la corrente di al-Hallaj con l’ipotesi della “badalya” il cui fine è una sorta di evangelizzazione “silenziosa” nelle terre dell’islam che continua ancora oggi con la testimonianza silenziosa di quella straordinaria congregazione cristiana composta dai “Piccoli fratelli di Gesù”' di Charles de Foucauld.
A tutto ciò si rifaceva il Massignon convertito al cristianesimo e corrispondente, attraverso un formidabile carteggio, con Charles de Foucauld sulle ombre “cristiche” presenti nello sfondo dei differenti islam. Il “cattolico musulmano”, come lo definì papa Pio XI, fu grande studioso della mistica islamica nel X secolo e della storia sociale di Baghdad. Fu professore al Collège de France e direttore dell’importante rivista Revue du monde musulman, socio dell’Accademia araba del Cairo fino al 1960, due anni prima della sua morte. Fondò nel 1934 la straordinaria confraternita ecumenica della Badalya a Damietta. Sulle orme del mistico iraniano al-Hallaj, crocifisso nel 922 d.c. dalle autorità sunnite siriane con modalità assai simili a quelle della passione di Gesù, tanto da stimolare accostamenti esagerati fra il pensiero del mistico islamico e il cristianesimo. In questo percorso della “badalya” Massignon intravvedeva anche un ruolo di Fatima, la figlia del profeta Maometto, la cui figura femminile gli appariva essere l’analogo di quello di Maria nel cattolicesimo. Massignon contribuì allo studio di miti che si radicano all’interno delle eredità del triplice monoteismo abramitico.
Fra i suoi ammiratori non si può non citare il professor Giorgio La Pira che si riferiva spesso agli studi del grande islamista, fraterno amico di De Foucauld, che nei Convegni per la pace nel Mediterraneo il grande sindaco di Firenze indicava come la strada unica possibile per un dialogo di pace. Massignon è stato studioso troppo raffinato per cadere in facili sincretismi. Aveva ben chiaro come l’Islam sia un mondo di ascetica fede, privo di pietà, il Corano un libro che definisce una forte separatezza fra Creatore e creazione e la stessa esperienza del Profeta, Massignon la descrive come una via che si arresta sulle soglie di un ricercato e non trovato rapporto personale con Dio. Bernard Lewis discuteva spesso della profondità delle diverse anime culturali islamiche, che hanno dato forza e dignità a tanti milioni di scarti umani, ma anche lui notava proprio nel cuore di quella religione, grumi di potere e di sottomissioni radicalistiche. Tuttavia Massignon pensa che l’islam faccia parte della salvezza biblica, grazie alla discendenza diretta degli arabi da Ismaele, figlio di Abramo e della schiava egiziana Agar, esiliato nel deserto, ma sempre oggetto di particolari manifestazioni di amore da parte di Dio.
Per Massignon, perciò, si tratta di uno scisma dentro il messaggio di Abramo. Il grande islamista francese interpella il mondo cattolico per riconoscere nell’islam quello che altri vogliono riconoscere per l’ebraismo: i musulmani vivono un loro tempo di Redenzione “misterioso”, come nel cammino ebraico. Ai cristiani non resta, per Massignon, che riconoscere queste fratture abramitiche e che il patto di alleanza con Dio è per tutti e tre i grandi filoni che da Abramo stesso derivano.