Conosciamo il problema, conosciamo le cause che l’hanno determinato, conosciamo il modo per risolverlo, abbiamo capito cosa succederà se gli interventi non risulteranno tempestivi ed efficaci. Il problema, più volte evidenziato e confermato ancora una volta dai dati Istat diffusi martedì, è il sempre più gelido inverno demografico. La strategia per invertire la tendenza è stata più volte delineata. Non più tardi di due mesi fa, alla Conferenza nazionale sulla famiglia, esperti di vario orientamento e diversa sensibilità culturale, si sono trovati d’accordo sulle modalità per affrontare la più impegnativa delle emergenze. Sono analisi che nessuno mette più in discussione.
Ma c’è modo per invertire una tendenza che ha determinato un calo di 12mila bambini nell’ultimo anno? Addirittura centomila in meno negli ultimi otto anni, con un tasso di fecondità precipitato, per quanto riguarda le donne italiane, a una media di 1,27 figli? Sì, la ricetta della ripresa non è più un mistero per nessuno e, anche in questo caso, trova ampio consenso tra gli addetti ai lavori e tra i politici di vari schieramenti. Anche se, paradossalmente, le scelte della maggioranza sembrano andare in direzione diversa. La decisione di dimezzare il bonus bebè proprio nel giorno in cui l’Istat ha confermato il dramma delle culle sempre più vuote, è un dato anche simbolico che lascia sconcertati. Sarebbe stato davvero impossibile imboccare strade diverse, coerenti con le richieste del Paese reale? Quello che servirebbe, come detto, è noto. L’abbiamo scritto decine di volte ma non è inutile ricordarlo ancora. Servono politiche strutturali per razionalizzare gli strumenti di sostegno già esistenti, serve un fisco davvero amico della famiglia (Fattore famiglia), servono investimenti per i servizi della prima infanzia, servono iniziative per l’edilizia popolare, servono nuovi posti di lavoro per i giovani. Ma tutto questo non basterà se le politiche 'con' e 'per' la famiglia non verranno inquadrate in un perimetro coerente, con una progettazione capace di sorridere – non solo idealmente – a chi nonostante tutto sceglie la strada della responsabilità familiare. Occorre che Stato, enti pubblici, aziende facciano capire a queste persone che la loro decisione è condivisa e sostenuta.
Una svolta culturale, di tendenza e sensibilità, prima ancora che politica. Non si tratta di un auspicio impossibile. Esiste un’Italia che non si rassegna al declino. E questa Italia non smette di riflettere, progettare, proporre. In questi giorni a Trento, quasi ignorato dai media, va in scena la sesta edizione del Festival della famiglia. Iniziativa lodevole non solo per rimettere al centro il caso virtuoso di un territorio che dimostra come politiche familiari durevoli si rilevano determinanti per la natalità e per la stabilità familiare, ma anche perché il 'laboratorio trentino' sta offrendo spunti facilmente trasferibili a livello nazionale. Tra le tante buone prassi il cosiddetto 'Family audit', sistema di certificazione che traduce in punti concreti la conciliazione tra famiglia e lavoro, da decenni vagheggiata ma raramente tradotta in realtà. Ebbene in Italia sono già oltre un centinaio, comprese realtà importanti come Enel, Tim Nestlé, le aziende che hanno varato provvedimenti diretti al benessere familiare dei lavoratori, proprio nella logica del 'Family audit', dimostrando così di comprendere come tra equilibrio familiare e successi aziendali esiste un nesso diretto e non eludibile. Sono messaggi importanti, destinati a diffondere e rafforzare quella cultura familiare come preziosa risorsa pubblica che negli ultimi decenni è risultata appannata da troppi dati contraddittori.
Come è incoraggiante, sempre guardando a quanto sta avvenendo a Trento, la crescita dei 'Comuni amici della famiglia', network di amministrazioni locali convinte che le politiche familiari non siano scelta di parte, ma asse centrale di qualsiasi programma di buon governo, come va proponendo il Forum delle associazioni familiari che su queste reti sta investendo con coraggio, anche con progetti innovativi che verranno annunciati nei prossimi giorni. Perché la strada, per iniziative e provvedimenti, non può che essere quella della stabilità e delle prospettive lunghe. Come stabile e rassicurante dev’essere la famiglia che accoglie i figli. Chi in questi giorni, analizzando i dati Istat, ha salutato quasi come un raggiunto traguardo di maturità sociale il fatto che l’aumento maggiore delle nascite si sia registrato tra le coppie non sposate, ignora almeno due aspetti. Il primo è che la nascita di un figlio all’interno di una convivenza si rileva il più efficace fattore di accelerazione verso il matrimonio. Il secondo che sono gli stessi figli a desiderare che il nido sia radicato su basi solide e affidabili. Sostenere e promuovere la solidità dei legami – senza ignorare le varie fragilità – è l’unica strada per uscire dalla stagnazione.