Caro direttore,
come se otto anni non fossero serviti a nulla. Come se la tragedia di quei corpi senza vita al largo della "Spiaggia dei Conigli", a Lampedusa, si fosse consumata invano. Siamo davvero così assuefatti alla morte collettiva da non riuscire a trasformare il senso di impotenza in un impegno concreto per gestire questo fenomeno? L’ennesimo naufragio semplicemente impone all’Europa di scrivere la parola fine alle stragi in mare. È un dovere storico.
Ci troviamo, lo sappiamo, nel pieno di un passaggio d’epoca. Ormai sono numerose e tutte gravi le crisi che l’Europa ha dovuto fronteggiare in questo inizio di secolo. Spesso scoprendosi sprovvista degli strumenti, delle risorse, delle procedure adatte per risolverle.
La crisi dei debiti privati e quella dei debiti sovrani, prima, con un impatto devastante sull’economia reale e sul lavoro. Oggi, il trauma della pandemia e il disastro di un intero sistema economico e produttivo congelato per mesi e mesi. Tutte vicende diverse, connotate però da un tratto comune: l’assenza di competenze condivise e istituzioni unitarie per uscirne tutti insieme, a livello europeo.
Certo, sia sul versante economico-finanziario sia soprattutto su quello sanitario, molto ancora c’è da costruire per colmare del tutto quella mancanza. Eppure, è indubbio che le lezioni apprese dalle crisi abbiano rafforzato o stiano rafforzando la capacità di reazione della Ue.
Next Generation EU è la dimostrazione di questa evoluzione. Una reazione fatta di lungimiranza, solidarietà, concretezza. E soprattutto di tempismo. Quattro mesi dopo l’esplosione della pandemia, la Ue è riuscita a mettere a punto una risposta senza precedenti. Ben quattro anni erano, invece, stati necessari, tra il 2008 e il 2012, per giungere al «whatever it takes» (tutto ciò che è necessario, per difendere la moneta comune) di Mario Draghi.
Dunque, un oggettivo miglioramento nell’allerta e nella decisione conseguente. Ma perché questo avviene in tutti i campi, dalla sanità ai debiti o alla sostenibilità ambientale e sociale, e non avviene per la questione migratoria? Perché la tragedia dei viaggi della speranza e dei naufragi non è abbastanza grave, nella percezione delle classi dirigenti degli Stati membri, da stimolare una presa di coscienza collettiva equiparabile? Perché siamo costretti, anno dopo anno, a guardare quelle immagini senza un sussulto di dignità della politica di tutti i Paesi della Ue?
Oggi sono queste, solo queste, le domande da porci. E la risposta deve avere lo stesso grado di pragmatismo e senso della convenienza collettiva che ha qualificato la reazione alle altre crisi comuni. Senza più alibi o rinvii. Senza più cedere al richiamo del consenso facile o al timore di dare un vantaggio di posizione alle forze populiste che lucrano sulla paura dei migranti. Le soluzioni le conosciamo, passano tutte dalla fine del vergognoso scaricabarile tra capitali e da una chiara assegnazione di competenze e compiti tra Stati membri e istituzioni comunitarie. Passano attraverso la scelta dei corridoi umanitari come via maestra per la gestione dei flussi. Passano attraverso il definitivo salto di qualità della missione europea Irini, che cessi di essere solo un’operazione di blocco navale dell’export di armamenti, e diventi un vero e proprio strumento di controllo, con compiti di ricerca e soccorso nelle parti del Mediterraneo che rischiano di nuovo di diventare un enorme cimitero.
Le soluzioni passano da un rapporto più chiaro con le autorità dei Paesi che affacciano sulla sponda Sud. Infine, in concreto, subito, dobbiamo rivedere la proposta fatta dalla Commissione a settembre in materia di politiche migratorie e trasformarla in un vero Next Generation Migrations, che contenga tutti i tasselli della soluzione, a partire dal superamento definitivo della Convenzione di Dublino.
All’Italia il compito di imporre il senso di urgenza ai tavoli europei e nelle varie capitali. Esattamente come si è riusciti a fare un anno con Next Generation Eu. Non c’è più tempo.
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