venerdì 24 febbraio 2023
Il capo dell'Agenzia Onu per i rifugiati ad Avvenire: colpito dalla resistenza della società civile. La "protezione temporanea" di coloro che sono stati accolti in Europa sta funzionando
Filippo Grandi, Unhcr/Acnur

Filippo Grandi, Unhcr/Acnur - .

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Il coraggio dei volontari, le missioni rischiose dei funzionari Onu, le speranze dei profughi, i silenzi di Mosca all’offerta di aiuti per gli sfollati, i bambini trasferiti forzatamente in Russia. In questa intervista Filippo Grandi, capo dell’Acnur/Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, il più alto in grado tra gli italiani dell’Onu, non nasconde i timori, denuncia le violazioni, ma confida anche le speranze.

Quale è la situazione del flusso di profughi?

Negli ultimi mesi non stiamo assistendo a un esodo comparabile a quello registrato all’esplodere del conflitto. Continuano ad esserci dei movimenti, ma non così massicci. E forse anche per questo c’è stato un calo di visibilità. Le persone che hanno raggiunto i Paesi europei continuano a essere accolte, in modo efficiente e razionale. In generale direi che il bilancio di un anno di “protezione temporanea” è positivo e dimostra che si può avere un approccio condiviso ed efficace nell’accogliere.

C’è una specificità degli ucraini?

Prima di tutto, ci stanno mostrando di attendere dignitosamente la possibilità del ritorno. Ricordiamoci che sono in gran parte famiglie divise, e tornare indietro vuol dire anche potersi riunire. Secondo le nostre ricerche circa l’80% del totale degli ucraini in Europa desidera tornare, anche se aspettano che la situazione migliori. A tal punto che quando insistiamo perché i bambini ucraini ospitati in Europa siano incentivati dalle famiglie a frequentare le scuole del posto, incontriamo qualche comprensibile esitazione perché si ha come il timore di distaccarsi dalle proprie radici. Perciò ho chiesto al governo ucraino di aiutarci nel persuadere le famiglie di profughi a non rinunciare a questa opportunità, che non pregiudica in alcun modo la possibilità di rientrare quando sarà possibile.

Dopo l’attacco russo lei era in Ucraina e vi è tornato più volte. Quali cambiamenti ha osservato?

Certamente colpisce l’impatto del conflitto sulle persone, tuttavia con il passare dei mesi è cresciuta la capacità organizzativa degli ucraini e questo rende le nostre operazioni, che sono estese e molto complesse, assai più facili da gestire per quanto capillari e pericolose. Lavoriamo con istituzioni ben organizzate. Più di tutto, però, mi ha impressionato la società civile, capace di una straordinaria resilienza e di una resistenza prodigiosa, capace di sostenere le proprie comunità.

Della resistenza armata sappiamo molto, ma esistono altre forme di reazione?

Una caratteristica unica delle operazioni umanitarie in Ucraina è che lavoriamo con oltre 200 organizzazioni di base, spesso squadre di volontari coraggiosissimi. E poi cerchiamo di aiutare le persone che si trovano intrappolate in zone a ridosso del fronte. Ogni giorno firmo numerose autorizzazioni a missioni a volte rischiosissime.

Nelle visite agli sfollati e negli incontri con la leadership di Kiev, cosa la colpisce?

Devo riconoscere una forza d’animo davvero fuori dal comune. E ad essere sincero questo atteggiamento e questa capacità hanno generato un senso di unità che non ho mai visto in nessun Paese in guerra. Ma c’è anche un altro impegno che mi ha colpito.

Quale?

Lo sforzo che si sta facendo per combattere la corruzione. Anche questo è difficile e richiede supporto internazionale ma è cruciale, soprattutto pensando alla ricostruzione futura.

Riuscite ad accedere anche ai profughi sul lato russo?

Diciamo che il sistema di autorizzazione all’accesso c’è, ma è molto lento, quindi prima di ottenere il permesso di visitare un certo sito o un certo gruppo di persone, a volte passano mesi. Abbiamo offerto molte volte alla Russia aiuti umanitari per i profughi che si trovano nel territorio della Federazione. La nostra offerta resta sul tavolo, ma ancora senza risposte.

Avete notizie dei bambini “trasferiti” in territorio russo dall’inizio del conflitto?

Al momento ci sono solo delle stime e nessun dato certo. Quello che sappiamo è che sono state varate delle norme in conflitto con il diritto internazionale. In guerra o in situazioni di crisi non si può in alcun modo modificare la nazionalità di un bambino che si presume non accompagnato, ma su cui non si è fatta nessuna ricerca per rintracciare i familiari. Altre norme approvate di recente facilitano l’adozione di questi bambini, ma neanche questo si può fare finché non c’è modo di verificare l’esistenza di familiari e la possibilità di rientrare nel Paese d’origine.

Un anno di guerra, un anno di profughi. È cambiato qualcosa nell’approccio dei Paesi Ue?

Per la prima volta da molti anni vediamo il tema della migrazione e dei rifugiati nell’agenda del Consiglio Europeo. Ma si procede a passi lentissimi. Abbiamo osservato come il modello della “protezione temporanea” stia funzionando, dimostrando che ci sono sfide che si possono e si devono affrontare insieme condividendo le responsabilità. Certo non può farlo l’Italia da sola o la Germania, ma in generale il mio giudizio è in sospeso: ancora non ci siamo sul sistema di solidarietà nella redistribuzione, non ci siamo sui rimpatri e sui soccorsi in mare. Il governo italiano mostra di voler sostenere gli aiuti all’Africa, però poi bisogna essere conseguenti con scelte adeguate.

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