sabato 22 giugno 2024
L'azienda è stata giudicata complice delle violenze dei paramilitari delle Auc in Colombia. E' la prima volta che una società Usa deve versare indennizzi per crimini commessi in un altro Paese
Un lavoratore impegnato nella raccolta delle banane nella zona di Santa Marta

Un lavoratore impegnato nella raccolta delle banane nella zona di Santa Marta - Ansa

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Ufficialmente la sentenza rende giustizia a "John Doe", nome fittizio del contadino e sindacalista torturato, decapitato e fatto a pezzi dai paramilitari delle Autodefensas unidas de Colombia (Auc) nel 1997. E ad altri sette raccoglitori di banane massacrati nei sette anni successivi dai miliziani d'ultradestra, creati con il sostegno dei latifondisti in funzione anti-guerriglia. Il valore del verdetto del tribunale di West Palm Beach in Florida - dopo 17 anni di battaglia legale - va, però, al di là delle otto vittime dirette a cui viene riconosciuto il diritto all'indennizzo da parte di Chiquita Brand. Il colosso statunitense, con sede in svizzera, che, nel 2007, aveva ammesso di avere versato 1,7 milioni di dollari alle Auc, è stato considerato "complice" dei crimini perpetrati da queste ultime nelle regioni di Urabá e Magdalena Medio. E condannata a risarcire i familiari delle vittime con 38,3 milioni di dollari. E' la prima volta che una multinazionale Usa viene condannata per violazioni dei diritti umani commesse in un altro Paese.

Il "caso Chiquita" segna, dunque, un precedente per la giustizia americana che si trova ad esaminare migliaia di istanze analoghe. Secondo l'organizzazione Earth rights international, che ha rappresentato i parenti degli agricoltori, i fondi dell'azienda hanno contribuito a finanziare la violenza dei paramilitari. Il giudice Kenneth Marra e i dieci giurati hanno accolto l'istanza, respingendo la tesi della multinazionale. Quest'ultima ha sempre sostenuto di non avere avuto altra scelta. L'erede delle United fruit company sarebbe stata costretta a pagare le Auc per garantire la propria sicurezza in zone dove, di fatto, lo Stato era assente. I pagamenti, come confessato dalla società, erano inquadrati come "servizi di protezione". Ed erano proseguiti anche dopo il 2001, quando il dipartimento di Stato Usa aveva inserito l'organizzazione nella lista dei gruppi terroristici. Per questo, al processo penale del 2007, Chiquita aveva pagato una multa da 25 milioni di dollari.

Un passo iniziale. Earth rights international, però, ha deciso di proseguire l'iter legale in sede civile. Si è arrivati così al giudizio cominciato il 24 aprile scorso e terminato, il 10 giugno, il riconoscimento della colpevolezza di Chiquita Brands. «Un messaggio forte alle aziende di tutto il mondo: il profitto derivante dalle violazioni dei diritti umani non rimarrà impunito. Queste famiglie, vittime di gruppi armati e multinazionali, hanno affermato il loro potere e hanno prevalso nel processo giudiziario», ha affermato Marco Simons, consulente legale internazionale di Earth rights international. Una decisione anche dal forte impatto simbolico. Lo sciopero dei lavoratori dell'allora United fruit company, nel 1928, represso nel sangue dello Stato e magistralmente narrato in "Cent'anni di solitudine", è impresso in modo indelebile nella memoria collettiva latinoamericana come emblema della violenza e dell'impunità delle multinazionali.


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