venerdì 5 aprile 2024
La capacità di accantonare delle famiglie italiane ha toccato il valore più basso da quando sono disponibili i dati, scendendo al 6,3%. Dal 2010 è sempre sotto il 9%
La propensione al risparmio delle famiglie italiane è al minimo storico

IMAGOECONOMICA

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La capacità di risparmiare delle famiglie italiane è al suo minimo storico: nell’ultimo anno il tasso di risparmio degli italiani, cioè il rapporto tra risparmio e reddito, è passato dal 7,8% del 2022 al 6,3% del 2023. E questo dato sulla propensione al risparmio delle famiglie, messo in luce dagli indicatori sulle famiglie consumatrici diffusi dell’Istat, ha toccato il valore più basso dal 1995, ossia da quando sono iniziate le rilevazioni dell'istituto nazionale di statistica.

La spinta dell’inflazione del 2022 che è proseguita, pur rallentando, anche nel 2023 ha, di fatto, impoverito sempre di più gli italiani, costringendoli a intaccare il patrimonio accantonato negli anni precedenti. Com’è successo? L’aumento generalizzato dei prezzi ha coinciso con lo scoppio del conflitto in Ucraina ed è proseguito con la guerra in Medio Oriente. Uno degli effetti inflattivi è stato l’aumento del costo del denaro, con i tassi di interesse rialzati dalla Bce. Al tempo stesso, non sono stati aumentati i salari a sufficienza da compensare l’aumento dei prezzi di beni e servizi, e, dunque, ci si è ritrovati a spendere di più, mettendo da parte sempre meno denaro.

Osservando l’andamento del tasso di risparmio in questi 28 anni da quando i dati sono disponibili, la capacità delle famiglie italiane di mettere da parte una parte dei propri guadagni e delle proprie rendite dal 2010 in avanti è sempre stata al di sotto del 9%. Fatta eccezione per il biennio pandemico, il 2020-2021, nel quale a causa delle restrizioni imposte ai cittadini e alle stesse attività commerciali la propensione all’accantonamento era tornata a salire fino al 15,6% e al 13,6%.

Per quanto riguarda il potere d’acquisto, nonostante il reddito disponibile delle famiglie consumatrici sia aumentato del 4,7%, la capacità di spesa degli italiani si è ridotta dello 0,5%. Ciò a causa del forte aumento dei prezzi al dettaglio che ha caratterizzato non solo il 2022, ma anche il 2023 e che ha impoverito le famiglie, le quali analogamente hanno visto diminuire anche il proprio tasso di investimento sceso al 9% (dal 9,2% del 2022). In questo quadro di generale peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie vanno inseriti anche i recenti dati sulla povertà, che al netto dell’inflazione, nel 2023 segnalavano che la spesa delle famiglie è diminuita in termini reali del 10,5% rispetto al 2014.
Inoltre, sulla riduzione dei redditi degli italiani ha influito anche l’aumento delle imposte correnti pagate dalle famiglie: 24,6 miliardi di euro (+10,7% rispetto al 2022) per la crescita dell’Irpef (+10,2%) e delle ritenute sui redditi da capitale e sul risparmio gestito (+23%). «Il saldo degli interventi redistributivi nel 2023 – ha osservato l’istituto nazionale statistico nella nota esplicativa di questi dati – ha sottratto alle famiglie 118,8 miliardi di euro», 16,5 miliardi in più rispetto al 2022.

«Il fiscal drag – ha riportato in una nota Confesercenti - inizia dunque a mordere, e a spingere in direzione opposta al taglio delle aliquote appena entrato in vigore. Confermata invece l’efficacia del taglio del cuneo fiscale, che sta riducendo sostanzialmente i contributi pagati dai lavoratori dipendenti (-2,2%). Purtroppo, però, il beneficio non riguarda gli autonomi, i cui contributi sono anzi aumentati del 7,3%, ossia due punti in più rispetto all’aumento dei relativi redditi». Secondo Confesercenti, c’è bisogno di una correzione di rotta: «sul lato della riforma fiscale, con un’ulteriore rimodulazione delle aliquote Irpef e sul fronte dei contributi, confermando il taglio del cuneo ed estendendo gli sgravi anche alle fasce più deboli del lavoro autonomo».
Il presidente dell’Unione nazionale consumatori ha posto, ancora una volta, l’accento sul «mancato rinnovo degli sconti di Draghi su carburanti e bollette della luce e del gas» che a suo avviso avrebbero «inciso sul reddito disponibile delle famiglie in termini reali, costringendole ad intaccare i risparmi nel vano tentativo di mantenere lo stesso livello di vita, gli stessi consumi finali depurati dall’effetto prezzi» ha concluso Massimiliano Dona.

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