sabato 4 maggio 2024
Il dato emerge dall'indagine Cgia. Per frenare questo fenomeno le pmi stanno aumentando il benessere aziendale. In testa la Lombardia, il Veneto e Bolzano
Crescono le imprese virtuose

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In Lombardia la qualità del lavoro e, conseguentemente, il benessere aziendale non hanno eguali nel resto del Paese. Seguono la provincia di Bolzano e il Veneto; appena fuori dal podio scorgiamo la provincia di Trento, il Piemonte e la Valle d’Aosta. Male, invece, le regioni del Mezzogiorno: a eccezione della Sardegna, sono tutte collocate nella parte bassa della graduatoria. Le situazioni più critiche, purtroppo, riguardano la Sicilia, la Calabria e la Basilicata, che occupano gli ultimi tre posti della classifica nazionale. L’analisi è stata condotta dall’Ufficio studi della Cgia che ha ottenuto questa "classifica" mettendo a confronto otto indicatori, prevalentemente di natura qualitativa, che sono stati “estrapolati” dal rapporto Bes-Benessere equo sostenibile, presentato qualche settimana fa dall’Istat.

Dopo l’avvento della pandemia, anche il nostro mercato del lavoro ha subito delle trasformazioni importanti. In molte aree del Paese le imprese faticano sempre più a trovare profili con competenze adeguate; pertanto, mai come in questo momento hanno la necessità di fidelizzare i propri collaboratori. Questa operazione sta avvenendo per mezzo di una serie di comportamenti molto virtuosi; come, per esempio, la corresponsione di retribuzioni più elevate, la trasformazione dei contratti a termine a tempo indeterminato, la possibilità di consentire ai dipendenti orari di lavoro più flessibili, attraverso il ricorso a strumentazioni professionali più innovativi, favorendo gli avanzamenti di carriera e, infine, con l’implementazione di benefit e di welfare aziendale. Nel Nord questo processo di miglioramento del benessere aziendale, soprattutto nelle pmi, è ormai in corso da qualche anno. Nonostante ciò, la fuga dal posto di lavoro fisso prosegue.


Quando l’offerta di lavoro è in forte aumento e la domanda scarseggia, il rischio che le aziende si “rubino” i dipendenti migliori è
molto elevato. Secondo l’Inps, infatti, le dimissioni volontarie dei lavoratori dipendenti privati a tempo indeterminato con meno di 60 anni sono in aumento: nel 2022 (ultimo dato disponibile) hanno toccato quota 1.047.000 e, rispetto al 2019 (anno pre-Covid), sono cresciute di 236mila unità (+29,1%). Ancorché siano dati grezzi, è verosimile ritenere che sia in aumento il numero di coloro che hanno deciso di lasciare il vecchio posto di lavoro per uno nuovo. Una decisione, quest’ultima, spesso maturata dopo aver ricevuto un’offerta retributiva migliore e la messa a disposizione di un ambiente di lavoro meno “stressante” del precedente.

Gli indicatori presi in esame sono stati i seguenti:
1 – dipendenti con paga bassa;
2 – occupati sovraistruiti;
3 – occupati con lavori a termine da almeno cinque anni;
4 – tassi di infortuni mortali e inabilità permanente;
5 – occupati non regolari;
6 – soddisfazione per il lavoro svolto;
7 – percezione di insicurezza dell’occupazione;
8 – part time involontario.

Il 16,1% in Sicilia, il 17,6% in Puglia e il 19% in Calabria sono le incidenze regionali più elevate di lavoratori dipendenti che hanno dichiarato nel 2020 di aver ricevuto una retribuzione bassa rispetto alla mole e alla qualità del lavoro prestate. La soglia più contenuta, invece, ha riguardato i lavoratori della provincia di Trento con il 6,1%.

Per quanto concerne gli occupati sovraistruiti - ovvero coloro che nel 2023 ritenevano di avere un titolo di studio superiore a quello maggiormente posseduto per svolgere quella professione sul totale degli occupati - la soglia sfiora il 30% al Centro, con punte del 32,7% in Umbria, il 33,2% in Basilicata e il 33,5% in Molise. Il livello più contenuto si evince nella provincia di Bolzano con il 16,3%.

In relazione al numero di precari - vale a dire alla percentuale di occupati con lavori a termine da almeno cinque anni – le situazioni più critiche registrate nel 2023 hanno interessato la Calabria con il 25,5%, la Basilicata con il 25,7% e la Sicilia con il 27,9%. La Lombardia, invece, è la regione che con il 10,7% è la meno interessata da questo fenomeno.

In merito agli infortuni mortali e a quelli che hanno provocato nel 2022 una inabilità permanente ogni 10mila occupati, vede tra le
regioni più interessate l’Abruzzo con il 14,7%, la Basilicata con il 16,1% e l’Umbria con il 16,7%. La più virtuosa, invece, è la Lombardia con il 7,4%.

Il lavoro irregolare è presente soprattutto nel Mezzogiorno, con punte ogni 100 occupati del 16% in Sicilia, del 16,5% in Campania e del 19,6% in Calabria. Il livello più contenuto, invece, lo scorgiamo nella provincia di Bolzano con il 7,9%.

La soddisfazione per il proprio lavoro – vale a dire l’appagamento per il livello di retribuzione ottenuto, le ore lavorate, la stabilità del posto, l’opportunità di carriera, la distanza casa/lavoro eccetera – tocca la punta più elevata del 61,7% in Valle d’Aosta. Seguono con il 61,1% la provincia di Trento e con il 60,5% la provincia di Bolzano. Il livello di soddisfazione più basso si attesta al 41,2% e riguarda la Campania. In Italia praticamente un occupato su due non è soddisfatto del lavoro che svolge (per la precisone il 48,3% del totale).

La paura di perdere il posto di lavoro è diffusa soprattutto nel Mezzogiorno. Le situazioni più critiche interessano gli occupati della Calabria (5,9%), quelli della Sicilia (6,4%) e in particolare quelli della Basilicata (8,8%). I più “sereni”, invece, sono i lavoratori della provincia di Bolzano: nel 2023 solo il 2,4% ha manifestato una percezione di insicurezza del proprio posto di lavoro.

Infine, la platea degli indicatori presi in esame dall’Ufficio studi della Cgia termina con la percentuale di part time involontario presente ogni 100 occupati, vale a dire coloro che nel 2023 hanno dichiarato di essere stati assunti con un contratto a tempo parziale, perché non ne hanno trovato uno a tempo pieno. Ebbene, le situazioni più critiche hanno interessato il Molise con il 13,8%, la Sardegna con il 14,7% e la Sicilia con il 14,8%. Ancora una volta la provincia di Bolzano con il 3,8% degli occupati è risultata essere la realtà più virtuosa d’Italia.


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