venerdì 3 maggio 2024
Il cappellano don Robin Weatherill: «Ha espresso il desiderio di voler diacono come san Francesco». Il rito celebrato dal vescovo Paolo Ricciardi
L'ordinazione diaconale di Sergio Della Lena nella cappella del Campus Biomedico di Roma

L'ordinazione diaconale di Sergio Della Lena nella cappella del Campus Biomedico di Roma - -

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Una foto inoltrataci ieri su WhatsApp proveniente da don Robin Weatherill, cappellano del Campus Biomedico di Roma, era accompagnata da queste parole: «Questo pomeriggio un nostro caro paziente oncologico, Sergio, ha potuto portare a compimento il suo sogno di morire come san Francesco, da diacono. Ha avuto la dispensa dal Papa (da tempo si preparava al diaconato ma la malattia lo aveva bloccato) e così nella cappella del policlinico è stato ordinato dal vescovo Paolo Ricciardi diacono per la diocesi di Roma. Una cerimonia emozionante. Il Campus ha vissuto un altro giorno speciale».

Don Robin, ci spieghi il retroscena.

La persona si chiama Sergio Della Lena, è un insegnante di Roma sulla sessantina, che si è dedicato a fare il catechista in parrocchia e poi ha chiesto di diventare accolito. Era in cammino per diventare diacono permanente, ma la malattia è andata avanti molto rapidamente. L'ho intercettato in questi giorni, prima al pronto soccorso e poi quando è stato ricoverato nel reparto di oncologia, perché stava leggendo un libro del cardinale Zuppi, Dio non ci lascia soli. Mi ha fatto vedere che c'era anche la dedica di Zuppi, perché si conoscono. Ed è sempre a Zuppi, che lo aveva chiamato per sapere come stava, che Sergio ha espresso il desiderio di essere ordinato diacono. Di morire diacono come san Francesco, di cui è devoto. Due giorni fa è arrivata la notizia della dispensa. Monsignor Ricciardi che è il vescovo ausiliare per la zona est mi ha chiamato e abbiamo concordato i dettagli per il rito. Il desiderio di Ssergio era di ricevere il diaconato in questo luogo dove sta compiendo il suo pellegrinaggio nella sofferenza.

Chi era presente alla celebrazione?

La sua famiglia. Ha due figli insegnanti e due figlie infermiere al Bambin Gesù quindi tanti nipoti.

Di esperienze così, di ordinazioni in ospedale, lei ne ha vissute altre?

No, questa è stata la prima. Però in 14 anni da cappellano al Campus biomedico ne ho viste tante: Battesimi, cresime, matrimoni, conversioni, una volta anche di un buddhista. Qualche tempo fa un signore mi ha fermato in corridoio e mi ha detto che voleva parlare con me. E’ venuto in cappella e mi ha detto: «Ho avuto un tumore e sono guarito. Ma non sono guarito dal tumore, sono guarito da un'altra cosa: erano 50 anni che non mi confessavo. A questo luogo io devo la mia conversione».

È toccante.

Ti racconto un'altra cosa bellissima. Noi qui abbiamo una reliquia di san Giovanni Paolo II, in cappella. Qualche anno fa era il 2 aprile, l’anniversario della morte di papa Wojtyla, ed era Venerdì Santo. Io stavo pregando e a un certo punto ho visto un uomo mettersi in ginocchio davanti alla reliquia, piangendo. Quando vedo qualcuno in cappella che piange normalmente è perché ha un familiare in condizioni gravi o in sala operatoria. Quando l’uomo si è alzato l’ho invitato a sedersi vicino a me. Mi ha detto: «Mi sono commosso davanti alla reliquia di Giovanni Paolo II perché il giorno della sua morte sono rinato». Gli ho chiesto cosa intendesse di preciso. E lui mi ha spiegato - era dirigente di un’azienda dalle parti di Latina, ma abitava all’Eur - che Il 2 aprile del 2005 aveva sentito il bisogno di andare in piazza San Pietro, dove aveva poi sentito l’annuncio della morte del Papa. Vicino a lui c’era un prete polacco, in talare: gli chiese d'impulso se lo poteva confessare. Erano decenni che non si confessava. E da quel momento la sua vita era cambiata. Di storie così potrei raccontargliene a lungo.

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