martedì 23 aprile 2024
Viaggio nella struttura più attiva del capoluogo lombardo, da sempre al lavoro in stretta collaborazione con l'ospedale: «Nessuno molesta o fa terrorismo. Le volontarie? Semplicemente ascoltano»
Un colloquio al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli di Milano

Un colloquio al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli di Milano - Cav Mangiagalli

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In un talk televisivo qualche sera fa sono state definite “molestatrici” e “terroriste”: psicologiche, s’intende. Un’immagine in cui loro, le operatrici del Centro di aiuto alla vita (Cav) della Mangiagalli di Milano non si riconoscono affatto. Non c’è un clima di scontro tra abortisti e “pro-life”, al Policlinico, uno dei due ospedali in cui nascono più bambini in Italia: 6mila l’anno. Sul numero degli aborti invece non si hanno dati. Salendo con l’ascensore fino al terzo piano della scala B, dove si trova il Cav, si è aiutati a raggiungere la sede dalle targhette che dettagliano la strada. Non una presenza clandestina, dunque. Anzi, a volere il Centro nella struttura fu quarant’anni fa un medico non obiettore, Giorgio Pardi. Una presenza poi confermata e, a quanto si dice, apprezzata dal direttore da poco andato in pensione, Enrico Ferrazzi, anche lui non obiettore. «Con Pardi c’era un accordo non scritto: le donne incinte che segnalavano difficoltà venivano mandate al Cav», esordisce la direttrice Soemia Sibillo, 48 anni, due figli, una laurea in Giurisprudenza e una “prima vita” nel campo della comunicazione e del giornalismo.

Il cartello dentro la Clinica Mangiagalli che indirizza al Cav

Il cartello dentro la Clinica Mangiagalli che indirizza al Cav - A.Ma.

Soemia, che deve il nome a una passione del nonno materno per gli studi antichi, è “figlia d’anima” della storica fondatrice del Cav Mangiagalli, la vulcanica Paola Bonzi, scomparsa nel 2019, protagonista di epici duelli amore-odio con la primaria Alessandra Kustermann, che pure nei giorni scorsi ha rilasciato un’intervista in cui suggerisce di mettere «paletti invalicabili ai Cav». «Ci ha sorpreso, sì, un po’ amareggiato questo tiro al piccione sugli operatori in aiuto della vita. Noi non facciamo lavaggi del cervello. Non cerchiamo di convincere le donne con tecniche manipolatorie. Non facciamo sentire il battito fetale né usiamo parole come “omicidio”. Siamo laici per statuto, accogliamo donne provenienti da tutto il mondo e appartenenti a tutte le religioni. Ascoltiamo e proponiamo un aiuto. Ecco tutto».

L’emendamento proposto da Fratelli d’Italia, che suggerisce alle Regioni la possibilità di «avvalersi di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità», per Soemia e le altre non aggiunge nulla di nuovo a ciò che già oggi accade. «Tanto clamore per nulla. È un testo che richiama e sottolinea quanto già stabilito dalla legge 194». Centri di Aiuto alla Vita del resto sono già presenti in numerosi ospedali italiani: quattro in Piemonte, uno in Sardegna, uno in Friuli-Venezia Giulia, tre in Sicilia, uno in Liguria, dove esistono anche tre convenzioni con le Asl. A Castrovillari, in Calabria, la convenzione con l’ospedale è ventennale. In Lombardia, oltre alla Mangiagalli, c’è un Cav all’ospedale di Vimercate e al Buzzi di Milano.

Un ritratto di Soemia Sibillo nelle stanze del Cav Mangiagalli di Milano

Un ritratto di Soemia Sibillo nelle stanze del Cav Mangiagalli di Milano - A.Ma.

«Arrivano donne e ragazze che hanno avuto il nostro recapito da medici di famiglia, infermiere e ginecologi, perfino da operatori dei consultori pubblici», racconta Antonella Cazzadore, la consulente familiare ed educatrice professionale che da 21 anni si occupa del colloquio con le donne nel primo trimestre di gravidanza (oltre 20 al mese), previsto dalla legge, che può sfociare nella decisione di abortire oppure di tenere il bambino.

Nel suo studio, come in tutto il Cav Mangiagalli, non ci sono slogan minatori, né pupazzi di gomma a forma di feti. L’ambiente è accogliente, intimo, con divani e cuscini e tisane.

«Gli assistenti sociali dei Comuni ci mandano ragazze incinte buttate fuori casa dai genitori e ci chiedono se abbiamo un alloggio di emergenza. Loro sono spaventate, assalite dai dubbi. Pensano di non poter diventare madri, ma vorrebbero tenere il bambino – racconta Antonella Cazzadore –. Oggi (ieri, ndr) ho svolto un colloquio con una ragazza incerta se proseguire la gravidanza perché è ancora in prova, teme che non le confermino il contratto. Per la prima volta, con noi, ha pensato di potercela fare». Eppure, secondo il dettato della legge 194, sono i consultori pubblici a dover contribuire «a rimuovere le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione di gravidanza». Ma non sempre – quasi mai – ne hanno le risorse o la possibilità.

Il Cav di Milano, che vive di donazioni e lasciti testamentari, dispone di una rete di alloggi disponibili per i casi più difficili o le emergenze e può proporre alle donne (e ai loro compagni) un Progetto lavoro di formazione o riqualificazione in collaborazione con la Fondazione Gi Group. I detrattori (in malafede) accusano i Cav di «intercettare le donne e offrire loro un po’ di soldi perché tengano il figlio» (sic).

«In realtà l’aiuto economico che noi possiamo dare è limitato. Se ci sono i requisiti, cerchiamo di attivare un Progetto Gemma (un sostegno economico mensile per 18 mesi, ndr); più spesso ci impegniamo a pagare le bollette, gli affitti arretrati, forniamo pannolini e buoni spesa, vestititi e latte in polvere, tiralatte e carrozzine», racconta Soemia Sibillo.

Quello che dovrebbe fare lo Stato, insomma, lo fa il Cav; infermieri, medici, operatori sociali lo sanno, e per questo indirizzano lì le donne e le ragazze che esprimono dubbi o incertezze sull’aborto. «Arrivano da noi anche con il certificato di Ivg in mano, ma non sono convinte. Noi le ascoltiamo, costruiamo insieme un progetto di aiuto. Facciamo in modo che il colloquio resti nel loro cuore come una relazione autentica. Siamo rispettose della loro libertà: se non tornano non le richiamiamo. Ma alla maggior parte è sufficiente sentirsi ascoltate, prese in carico da professionisti attenti e sensibili».

Sì, professionisti: perché i 10 dipendenti del Cav Mangiagalli e i 17 medici e operatori che operano anche nel vicino consultorio privato accreditato dal 2000 dalla Regione Lombardia (rimborso di 17,90 euro per una visita ostetrica, di 31,90 euro per il colloquio con lo psicologo, gratis per le pazienti) sono tutti qualificati. Ginecologi, psicologi, ostetriche, assistenti familiari, educatori: alcuni prestano consulenza a titolo volontario, altri sono retribuiti dallo stesso Cav per assicurare la presenza ogni giorno. Sessanta volontari su più turni assicurano la distribuzione degli aiuti. Così nel 2023 il Cav Mangiagalli ha supportato 1.445 donne, in maggioranza straniere. I bimbi nati dal 1984 a oggi sono 25.661. Uno di loro è un “parto segreto”: il terzo figlio di una italiana che si sentiva troppo povera per allevarlo. L’ha fatto nascere, ed è una bella notizia. Il bambino è andato in adozione. «Però ci si dovrebbe interrogare – conclude Sibillo –: dov’è l’autodeterminazione della donna, dov'è la possibilità di crescere i propri figli, quando lo Stato non aiuta a prendere una decisione davvero libera?». Già, dov'è?

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