La grande attrice Alida Valli (1921-2006)
«Alida. Questo è il mio nome e a me piace. Significa di nobile stirpe, guerriera». Chi di Alida Valli, uno dei volti più belli che il genere umano abbia mai partorito, conservasse a torto un’immagine sdolcinata di attrice da “commedia dei telefoni bianchi”, come si diceva un tempo, rimarrebbe sorpreso dal film Alida, in cui a raccontare il suo animo irrequieto e intelligente è lei stessa, attraverso i diari e le centinaia di lettere conservate per tutta la vita. Prodotto da VeniceFilm e KublaiFilm con la regia di Mimmo Verdesca, Alida è stato uno dei pochissimi documentari internazionali selezionato dal Festival di Cannes 2020, ma subito bloccato dalla pandemia. Pandemia che ha poi messo in standby il successo raccolto alla Festa del Cinema di Roma.
Un inizio accidentato, dunque. Ma finalmente dal 17 maggio approda nei cinema italiani (le date sulla pagina Facebook Alida – un film documentario) in occasione del centenario dell’attrice istriana, nata il 31 maggio 1921 in quella Pola cosmopolita poco prima austroungarica ed ora italiana, con il vero nome di Alida Altenburger von Marckenstein und Frauenberg. Troppo difficile: a inventarsi lo pseudonimo Valli sarà il regista Mario Bonnard nel 1937 (Alida ha solo 15 anni ma lo folgora con un provino a Cinecittà), «lo ha scelto sull’elenco telefonico», smitizza un’anziana Alida Valli nel docufilm.
Lettere e diari sono affidati alla voce di Giovanna Mezzogiorno, dal timbro così simile all’originale, cui si alternano le interviste via via rilasciate dalla Valli alle tivù di tutto il mondo e le apparizioni sui palchi internazionali in cui veniva premiata. Eppure ciò che ha fatto per tutta la vita è stato proprio smitizzare se stessa, «sgretolare» - per dirla con Marco Tullio Giordana intervistato da Verdesca – «la devozione che si aveva di lei». Era «la madre di tutte le attrici», racconta Giuseppe Bertolucci, che la diresse nel 1976 nell’irriverente Berlinguer ti voglio bene, un ruolo rifiutato da Valentina Cortese per i dialoghi “scandalosi”, ma accolto dalla Valli con la consueta modernità che l’ha sempre contraddistinta.
Era come se fosse nata già donna matura, capace di dimostrare il doppio dei suoi anni e per questo intensa già da adolescente nei ruoli drammatici. Ne ha soli 19, ad esempio, quando gira per Mario Soldati Piccolo mondo antico di Fogazzaro, eppure quando il lago in tempesta le uccide la piccola Ombretta pare invecchiata di cent’anni. E quando gira Senso di Luchino Visconti ne ha 32, è un’icona di perfezione, ma non ha bisogno di trucco per apparire sfatta, delusa, tradita. È il 1946 quando Hollywood, che l’ha strappata all’Italia con un contratto di 7 anni, la rende immortale accanto a Gregory Peck in Il caso Paradine di Alfred Hitchcock: Greta Garbo non ha voluto interpretare il personaggio misterioso (forse gelida assassina, forse vittima amante) e la giovane italiana non la fa rimpiangere, a 25 anni sa essere algida come lei, per di più recitando in inglese.
Galà, tappeti rossi, paparazzi: l’America la ama, ma l’antidiva conserva un riserbo quasi scontroso e una perenne malinconia. «Le soddisfazioni che vengono dal mio lavoro mi aiutano a continuare, ma non c’è nulla che valga le gioie semplici della famiglia. L’ho sempre pensata così e guai a chi tentasse di portarmi fuori dalle mie rotaie», scrive alla madre nel 1947, ospite nel ranch degli Hitchcock con il marito Oscar De Mejo e il primo figlio Carlo di due anni. Il lavoro è un gioco, ripete per tutta la vita, «è l’amore che ti fa vivere». Un amore che rincorre ma ogni volta le sfugge.
Eppure Alida sa ciò che vuole fin da bambina, amare un uomo per tutta la vita. E’ ribelle, irrequieta, tanto da impensierire i genitori, con i quali nel 1929 all’età di 8 anni lascia Pola e si trasferisce sul Lago di Como. Ama l’amore prima ancora che abbia un nome: a 13 anni conosce Carlo Cugnasca, allievo ufficiale piloti molto più grande di lei, «non mi guarda nemmeno ma non mi importa, sono felice d’amare. Crescerò e si accorgerà di me. Finalmente il mio sentimento ha un volto».
Il padre Gino Altenburger, insegnante di Lettere, l’uomo che le trasmette il dono di una scrittura profonda e sincera, sa sempre capirla. Anche quando a 12 anni va a ballare con i ragazzi più grandi, marina la scuola per passeggiate solitarie in riva al lago o per attraversarlo a nuoto. «Vivi tranquilla – scrive Gino alla moglie Silvia Obrekar – è molto più sensibile di quello che tu credi, ci vuole la persuasione, non l’imposizione».
È il 1935 quando si risolve a mandarla a Roma da un cugino senatore. È il destino che bussa: lì Alida conosce il Centro sperimentale di Cinematografia e decide di provare. Il film di Verdesca, documentatissimo, ripropone anche quel provino: Alida ha 15 anni ma si muove disinvolta, ha una bellezza fresca e pulita. «So che il tuo soggiorno a Roma sarà proficuo, che potrai mettere in evidenza le tue velleità artistiche, le scrive “il tuo papà”». Ma è il maggio del 1936, un anno dopo, quando sul suo diario Alida annota: «Papà non c’è più, sono distrutta, ho vissuto per lui». Intanto a Roma niente borsa di studio perché «indisciplinata e assolutamente negata al mestiere di attrice. Crollano i miei sogni, tornerò a Como…».
Non sarà così. Nel ’37 il Duce inaugura Cinecittà e Alida Altenburger, 16 anni, torna con la madre per un provino che questa volta la immortala e le cambia il cognome. Presto sulle locandine di Hollywood non sarà più nemmeno «Alida Valli» ma solo «Valli», due sillabe che fanno sognare il pubblico e i più grandi produttori. Ma la gabbia dorata di un successo feroce le è insopportabile (David Selznick, il produttore già di Via col vento, vieta la maternità alle sue attrici e nel 1950 lei recita «incinta di nascosto» del suo secondo figlio Larry), così rompe il contratto: «Mi servirà da lezione – scrive alla madre – perché mai più mi metterò in questa condizione di schiava pagata».
A costo di una penale di 150mila dollari che la rovina, sceglie autonomia e dignità. Seguiranno decenni di grandi successi a teatro in Italia e nei cinema di una Francia letteralmente ai suoi piedi. Ma l’amore, agognato, sfuma sempre. Prima la separazione da Oscar, poi altri addii. «Il mestiere di attrice è spietato – confesserà la Valli – , ho vissuto troppe storie d’amore nella finzione cinematografica per poterne vivere una vera tutta mia e per sempre». A partire da quel Carlo Cugnasca tanto amato da bambina: come aveva predetto, lui si accorgerà di lei e sboccerà un amore tanto forte da annientarla quando, nel 1941, l’aereo del pilota viene abbattuto in Africa (Alida non ha ancora 20 anni e sta girando Ore 9, lezione di chimica).
Dal suo diario: «Buio. Tobruk, 14 aprile 1941, perché se n’è andato? Perché ha dato la sua vita inutilmente? E’ impossibile soffrire di più». Un dolore fedele, durato fino alla morte di Alida, il 22 aprile del 2006. Poco prima, sul suo diario, l’altro grande rimpianto: Pola. «A Pola ho sempre scelto di non tornare», troppo strazio. L’ultimo suo gesto di libertà: «Hanno offerto ad Alida Altenburger la cittadinanza onoraria di artista croata! Ho risposto che troppe volte, come la mia città, avevo cambiato pelle, ma sono nata e morirò italiana».