Il flusso verso l’India, ci spiega Peter Saunders dell’associazione Christian Concern, «ci dimostra ancora una volta che non è sufficiente legalizzare in patria ogni genere di pratica con la giustificazione che così si sopprimerebbero il mercato clandestino e la fuga all’estero: anche in questo caso non si fa altro che alimentare un mercato che ha sempre bisogno di regole più liberali e costi più bassi». Non c’è dubbio infatti che la legge attuale inglese sulla maternità surrogata continui ad alimentare la clandestinità. L’anno scorso i bambini "surrogati" registrati nel Regno Unito sono stati 203, ma i numeri sono molto più alti, precisa Saunders, «perché tante coppie decidono di non registrarsi come genitori ufficiali per evitare un processo burocratico lungo e tortuoso, e i bambini per l’anagrafe rimangono figli della donna che li ha portati in grembo». Per diventare genitori riconosciuti dalla legge la coppia che ha usato una madre surrogata deve ottenere da un tribunale un permesso, conosciuto come «parental order». La richiesta di deve però essere effettuata entro 6 mesi dalla nascita altrimenti il piccolo rimane figlio della madre surrogata. Il processo si complica se esistono prove che la pratica della maternità surrogata è stata effettuata a scopi commerciali. In questo caso il riconoscimento per i genitori può essere ottenuto solo dall’Alta Corte. «L’India – ci spiega Jackson Kirkman-Brown, professore di Biologia umana riproduttiva dell’Università di Birmingham – è vista in molti casi come la soluzione al problema. Su Internet le cliniche indiane vengono pubblicizzate come veri e propri "paradisi sanitari" guidati da seri professionisti dove le madri surrogate sono non solo sane ma anche felici del lavoro che fanno.
Ma l’industria della maternità surrogata in India è di fatto senza regole certe e crea gravi rischi non solo per la salute delle donne ma anche per i potenziali genitori che entrano in un mercato dai contorni indefiniti». Quanto alla burocrazia, anche in India le cose non sono così semplici. «I rischi sanitari – ci spiega Natalie Gamble, avvocato esperto in maternità surrogata – si aggiungono a una lunga serie di complicazioni legali. Il primo ostacolo è rappresentato dall’immigrazione: in molti casi i conflitti tra la legge britannica e quella indiana deflagrano nei casi di bambini privi di cittadinanza. La domanda per il passaporto è spesso lunga e laboriosa, e i genitori rimangono bloccati in India per mesi dopo la nascita". «Vale la pena andare in India?», si chiedono Jack, 38 anni, e Fran Johnson, 35. Dopo tre tentativi falliti di fecondazione artificiale e uno di maternità surrogata in cui la madre ha deciso alla fine di tenersi il piccolo, hanno scelto di adottare una bambina in Cina. «Le legge – ci dicono –, in questo Paese come in India, non ti protegge e alla fine non fai che alimentare il mercato clandestino. Abbiamo sofferto ma ora siamo felici di poter metter fine alle sofferenze di una creatura che è stata abbandonata, adottandola».
La maternità surrogata è stata legalizzata in Gran Bretagna nel 1985, e fino a quattro anni fa veniva usata in media da una cinquantina di coppie l’anno. Un numero che è quadruplicato nel 2010 quando il governo ha deciso di consentirla anche alle coppie di persone dello stesso sesso. «Da allora – conclude Saunders – i numeri sono aumentati notevolmente e il trend purtroppo è tutto in crescita».