Se al momento dell’acquisto di un prodotto vi proponessero una soluzione a prezzi vantaggiosi nel negozio non troppo lontano da casa avreste dubbi? È probabilmente questa la logica che spinge i cittadini statunitensi (e non solo loro) a guardare con interesse all’America Latina quando si parla di maternità surrogata. Perché in fondo di questo si tratta. Comprare un figlio, tutto compreso: viaggio, soggiorno, fecondazione in vitro, pratiche legali, contratto di affitto dell’utero, e dopo nove mesi si passa a ritirare la merce. Una pratica che cresce con l’ampliarsi dell’offerta. Come dimostra il moltiplicarsi di annunci su Internet: man mano che la Rete raggiunge i villaggi più sperduti del Continente, la miseria spinge molte donne a ricorrere questa pratica. Vari media latinoamericani lo hanno evidenziato di recente.Prezzi bassi non vuol dire minore qualità e servizi scadenti, come tiene a precisare l’associazione «Advocate for surrogacy», fondata e diretta da Candace O’Brien, che da 15 anni si impegna affinché tutti possano avere una famiglia, «indipendentemente dalla loro razza, dall’orientamento sessuale, dallo stato civile o dall’identità di genere». È guardando al listino prezzi esibito sul sito di «Advocate for surrogacy» che si capisce, ad esempio, perché il Guatemala è uno snodo emergente del mercato mondiale degli uteri in affitto: quando ci sono di mezzo cliniche e donne del Paese centroamericano, si possono risparmiare più di 10mila dollari, nonostante la spesa per il viaggio che si aggira tra i 3mila e i 4mila dollari. Il Guatemala sembra essere perfettamente integrato nella catena di montaggio che da un click su Internet arriva al bimbo in braccio: non solo per la reperibilità di donne povere disposte a portare in grembo un figlio non loro, ma anche per le cliniche per la fecondazione decisamente a buon prezzo.Anche l’agenzia «Surrogacy Partners» propone il Guatemala come meta privilegiata per trovare uteri in affitto, garantendo l’espletamento di ogni obbligo legale che i cittadini statunitensi si trovano ad affrontare una volta che il figlio frutto della maternità surrogata sia venuto alla luce. Surrogacy Partners si prende infatti cura della parte burocratica affinché il bambino risulti cittadino statunitense nato all’estero, in uno Stato in cui nessuna legge specifica proibisce il ricorso a madri surrogate (quale è il Guatemala, come si premura di spiegare il sito dell’agenzia). Per coppie o single che non siano cittadini Usa l’agenzia raccomanda di approfondire le questioni legali relative alla cittadinanza del figlio.Per le stesse ragioni geografiche ed economiche, anche Panama veniva considerata un interessante bacino da cui attingere uteri a noleggio. Nel 2010 il
Wall Street Journal in un reportage intitolato
Assembling the Global Baby (Assemblando il bambino globale), citava proprio Panama come uno degli Stati inseriti a pieno titolo nella rete internazionale di donazione di gameti e affitto degli uteri. A inizio 2011 fu resa pubblica la storia di Andy McNeill e del compagno Todd Bludworth, sposati in Vermont e oggi “padri” di due gemelli, Samuel e Annabelle, nati grazie a donazione di ovuli e utero in affitto da donne panamensi. Andy e Todd raccontarono di ben quattro tentativi terminati con aborti – con diverse madri surrogate – prima di ottenere i figli desiderati. La coppia omosessuale, residente in Florida, stimava in circa 50mila dollari il risparmio complessivo, col costo totale di 150mila dollari abbattuto di un terzo grazie al ricorso a donne centroamericane. Ma oggi, attraverso «Planet Hospital», che si propone di organizzare servizi legati a quello che viene definito con eleganza fuorviante «turismo medico», si apprende che da marzo Panama ha reso illegale la gestazione conto terzi. Niente paura: al dispiacere dichiarato nella pagina dedicata al Paese stretto tra Atlantico e Pacifico si unisce l’invito a visitare quella che dirotta su una nuova e assai promettente meta di questa forma di sfruttamento di madri in affitto: il Messico. È interessante notare che lo slogan commerciale per rendere appetibile l’estremo nord dell’America Latina riguarda proprio le coppie gay: a causa delle difficoltà burocratiche che si possono incontrare in India, si legge sul sito, «siamo orgogliosi di offrire il Messico come destinazione per la maternità surrogata gay». Sul quotidiano indiano
Mumbai Mirror, un mese fa, gli addetti ai lavori lamentavano proprio la perdita di clienti a favore del Messico, oltre che di un altro Paese emergente nel mercato globale delle gravidanze a pagamento, la Thailandia. Seguono Ecuador, Bolivia e Haiti, dove l’assenza di una legislazione favorisce il “far west”.In tal senso, va registrata anche un’inchiesta condotta dal portale «Bioedge», sempre ben informato, che nel giugno 2012 interpellò alcune cliniche operanti nel settore della fecondazione artificiale e della maternità surrogata. Il direttore del «Fertility Institute», con sedi principali a Los Angeles e Las Vegas, Jeffrey Steinberg, affermò che anche solo l’avvio delle discussioni su leggi volte al riconoscimento del matrimonio omosessuale in questo o quel Paese innesca un aumento dei contatti telefonici e via Web per raccogliere informazioni sugli uteri in affitto. Steinberg dichiarò inoltre che la sua clinica stava guardando molto attentamente all’evolversi delle leggi in tema di maternità surrogata. Una succursale del «Fertility Institute» si trova a Guadalajara, nello Stato messicano di Jalisco, ancora privo di una legge in materia. Anche in Argentina l’opzione dell’utero in affitto è al centro di un dibattito. A fine giugno una Corte civile ha stabilito che la bimba nata da madre surrogata può essere dichiarata figlia dei genitori biologici, nel caso specifico Juan De Gregorio e Maica Moraes. È la prima volta, come informa il quotidiano
Clarín, che viene presa una decisione del genere. L’Argentina sta valutando l’opportunità di rendere legale la pratica, un precedente che può costituire il primo passo per rendere lo Stato sudamericano un nuovo protagonista di quello che è ormai un vero e proprio mercato globalizzato.