sabato 22 novembre 2014
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Alla vigilia della Giornata internazionale per i diritti dei bambini, celebrata giovedì 20 novembre, «il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha fatto sapere che non ritiene che la pratica dell’infanticidio faccia parte delle sue competenze rifiutando di incontrare le Ong che desideravano informarlo su questo argomento». È la severa denuncia del Centro europeo per la legge e la giustizia (Eclj), combattivo osservatorio indipendente che monitora l’attività delle istituzioni europee su vita, famiglia, educazione e libertà religiosa. E che ora registra con sdegno l’indifferenza del Consiglio d’Europa – atteso dalla visita di Papa Francesco martedì prossimo – di fronte alla piaga silenziosa dei feti sottoposti ad aborto ma nati vivi e lasciati morire o uccisi con iniezioni letali. Una pratica inumana, che contravviene alla più elementare pietà e alla deontologia medica: se un essere umano nasce vivo, per quanto prematuro, è indispensabile soccorrerlo quando manifesta segni di vitalità, evitando ogni forma di accanimento ma anche di abbandono. Il Centro europeo – guidato dal giurista francese Gregor Puppinck, che ha coordinato anche la rete europea dei Comitati “Uno di noi” durante la raccolta di firme per la petizione continentale pro-embrione – informa che il 1° novembre quattro organizzazioni non governative (l’International Catholic Child Bureau, la World Union of Catholic Women’s Organisations, la Federation of Catholic Family Associations in Europe, oltre allo stesso European Centre for Law and Justice) «avevano chiesto di incontrare Nils Muiznieks, commissario per i Diritti umani al Consiglio d’Europa, per presentargli un documento che mostra la sorte dei bambini nati vivi dopo un aborto». Non un dossier “di parte”: «Uno studio pubblicato dal British Journal of Obstetrics and Gynecology ha concluso che a 23 settimane di gravidanza il numero di bambini che sopravvive a un aborto è pari al 10%». Esplicito l’appello all’istituzione continentale: «Lasciare che molti di loro muoiano senza assisterli, o che siano uccisi, semplicemente perché non sono voluti è inumano». Gli attivisti delle Ong volevano dunque informare il commissario per i Diritti umani su quanto accade in molti ospedali europei «per chiedergli di riaffermare che tutti gli esseri umani nati vivi hanno lo stesso diritto a vivere e dovrebbero beneficiare di cure e trattamenti appropriati e necessari, senza alcuna discriminazione basata sulla modalità della loro nascita, in coerenza con i diritti umani». Ma il commissario Muiznieks «si è rifiutato di riceverli, ritenendo che il suo mandato non ha a che fare con simili questioni». L’iniziativa dei quatto organismi ha fatto seguito al tentativo – fallito – del Comitato dei ministri dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa di trovare nel luglio scorso un accordo «per garantire che i feti che sopravvivono a un aborto non siano privati del trattamento medico che gli spetta in base alla Convenzione europea sui diritti umani». A impedire che si prendesse una posizione comune fu l’opposizione di «alcuni governi che temendo di mettere sotto esame gli aborti tardivi non vollero riconoscere pubblicamente che questi neonati sono titolari di diritti». Ora la porta in faccia del commissario chiude il cerchio: un duplice rifiuto che il Centro europeo per la legge e la giustizia definisce «choccante», parlando senza mezzi termini di una «dimostrazione di tacito consenso all’infanticidio e a trattamenti inumani». Ma il network dei quattro organismi non si arrende e annuncia di voler presentare una petizione all’assemblea del Consiglio d’Europa, augurandosi che abbia «il coraggio di affrontare questo tema» e chiedendo il sostegno dei cittadini. 

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