martedì 24 aprile 2012
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​«Non ho mai amato chi dà consigli. Però raccontare la mia esperienza, mettendo in gioco la mia popolarità, vorrei che segnalasse diverse possibilità di vita. Perché li vedo, i ragazzi di oggi: sono più fragili di noi, hanno tutto ma hanno perso l’incanto di sorprendersi. Senza pretese volevo raccontare questa fortuna». Red Canzian è il bassista dei Pooh, ma nel suo terzo libro in uscita oggi racconta altro: i genitori, la miseria, il dietro le quinte del successo, la musica come ricerca di sé, la famiglia, la fede. I Pooh appaiono a pagina 98 e poi… basta. «Perché la nostra storia si sa; e poi semmai dovremmo raccontarla tutti insieme». Ho visto sessanta volte fiorire il calicanto, il libro di Canzian, nasce dalla voglia di raccontarsi dietro le maschere: «Sono nato poco dopo l’alluvione, in una casa senza riscaldamento. E la mia vita non è soltanto ciò che di me va sul palco o in tv».Però insiste molto, sulla voglia di andare oltre le "apparenze" del pop. Le danno tanto fastidio?Non mi pesano. Però non mi riconosco in certe cose che ho fatto per il mestiere, né in taluni in atteggiamenti che per esso ho dovuto condividere.Alla sua infanzia dedica pagine e pagine: povertà materiale eppure ricchezza interiore, scrive.Sì, è lì che ho imparato a vivere. Con le spalle grosse. Oggi quando sono coi miei figli vedo che li sorprendi solo con la tenerezza, a livello materiale sono rodati a tutto. E non mi pare una fortuna.Ma suo padre e sua madre quanto hanno condiviso la musica, i Pooh, le famose maschere del successo?Per mio padre era un gioco, mia madre aveva paura. Però non mi hanno ostacolato. E al dunque, mio padre mi disse «ok, vai, raccogli quanto hai seminato».Cita spesso Sant’Agostino, nel libro. Parlando di fede ma in modo pudico. Perché non esplicitarla?Ho nella mia camera un Cristo del Seicento che ho restaurato io. Parlo di fede con Lui, da solo, in intimità. Non mi sembrava corretto ostentare qualcosa che comunque c’è, ho dentro, mi dà risposte.E quanto entra nella sua musica, nel suo mestiere?Tanto. Il mondo toglie certezze, scrivere è un modo di ritrovarle: e non potrei farlo dimenticandomi di Dio. La musica per me è ricerca, mai stata tecnica.Ha fatto molto per i giovani, dal produttore alla Fondazione Q. Sente di avere fatto abbastanza?Sono vent’anni che dedico alcuni giorni all’anno al progetto <+corsivo>Un albero per la vita<+tondo>. Credo conti la qualità del tempo che si investe sulle cose. Come produttore qualche rimpianto c’è: dovrei lavorare meno coi Pooh…Perché nel libro ha messo nero su bianco cose molto delicate come l’attuale malattia di sua madre o la fine del suo primo matrimonio?Non avrei saputo non parlarne. Penso che anche piccole vicende personali, sofferte, possano dare qualcosa. E volevo dire veramente chi sono.Però non parla della fine. Dei Pooh, della vita… A sessant’anni ci si pensa?Alla fine dei Pooh non credo, siamo stati superati dalla nostra stessa storia. La morte… A 25 anni ho avuto l’epatite virale, e dieci anni fa mi hanno tolto un melanoma, cosa che non sa nessuno. Ci ho convissuto con l’idea della morte. Ma non ne ho paura.Un’altra cosa non dice: che si chiama Bruno. Ecco, il Bruno dell’infanzia povera che pensa del ricco Red?Si sono riappacificati tanti anni fa. All’inizio non mi piaceva Red, mi imbarazzava, era davvero una maschera. Poi ho capito che mi aiutava a esprimere tanto di me, e che in fondo sono la stessa cosa. Anche se è dagli ultimi giorni di mio padre, che non sentivo nessuno ricordarsi del mio vero nome.
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