Se ne va per sempre il gigante buono del cinema. A Roma in un ospedale si è spento l’86enne Carlo Pedersoli, meglio noto, dai piccoli ai grandi, come il mitico Bud Spencer. Oltre sessanta film in carriera e una popolarità internazionale che pochi altri attori contemporanei possono vantare. «In Germania mi conoscono meglio che in Italia», disse orgoglioso in una recente intervista rilasciata ad
Avvenire. «A Budapest invece ero noto come Pedersoli, il centravanti del “Settebello”, la Nazionale di pallanuoto in cui ho giocato e che per la prima volta andò a vincere a Budapest ». Per sette anni è stato campione italiano stile libero, ha preso parte a due Olimpiadi (nel 1952 e nel ’56) e alla passione per lo sport conciliava anche quella per lo studio. «A 16 anni credo di essere stato il più giovane universitario d’Italia, facoltà di Chimica. Più tardi mi sono iscritto a Giurisprudenza e poco tempo fa a Sociologia per spronare mia figlia. Ma non mi sono mai laureato in niente...». Studi interrotti per andare a lavorare in Sudamerica. Una giovinezza avventurosa, ma il cinema, «a parte una comparsata in
Quo Vadis », era ancora una chimera negli orizzonti dell’olimpionico Pedersoli. «Ho smesso con il nuoto dopo i Giochi di Roma ’60, quando mi sono sposato con Maria Pia che mi sopporta da più di mezzo secolo. È la mia “segretaria” e mi ha dato tre figli dai quali sono nati cinque nipoti. E per fortuna nessuno di loro ha seguito le mie orme». Le orme del “Piedone”, n° 47 di scarpa, atterrato per caso con il suo brevetto da elicotterista nel mondo di celluloide, che non ha più abbandonato. In piena era “spaghetti western” Bud Spencer faceva il suo debutto sul grande schermo ne
Il cane, il gatto e la volpe di Giuseppe Colizzi che faceva il verso a
Il buono, il brutto e il cattivodi Sergio Leone. «Il mio nome d’arte? Bud in inglese significa “bocciolo” e Spencer è un omaggio al mio attore preferito, Spencer Tracy. Lui sì che è stato un grande. Io non mi sono mai sentito un attore, ma semplicemente un personaggio. Titolo pur sempre rispettabile che mi diede Mario Monicelli, il quale una volta disse a Vittorio Gassman: “A Vittò, tu sei un bravo attore, ma resti attore”». Con la voce calda e pastosa prestatagli da Glauco Onorato, il personaggio Bud Spencer, con le prime tre pellicole di Colizzi
Dio perdona... io no!, Con
I quattro dell’Ave Maria, La collina degli stivali e
Lo chiamavano Trinità di E.B. Clucher, alias il romanissimo Enzo Barboni, sbancò al botteghino, in coppia con il fraterno Terence Hill, anche lui alias Mario Girotti. «Litigando con la moglie, Peter Martel si ferì e così Colizzi chiamò questo ragazzo che aveva recitato già con Visconti nel Gattopardo. È cominciato tutto per caso, ma io e Terence Hill siamo ancora oggi l’unica coppia del cinema che non ha mai litigato. Mario Girotti è un grande attore e una persona di un’umiltà incredibile». Una coppia inossidabile imitata e amata, “santificata” anche nei cineforum parrocchiali. «La Chiesa ci ha capito subito, apprezzando il fatto che nei nostri film non si vede mai una goccia di sangue per terra e tanto meno un morto. Sono un cattolico che ha la necessità di credere». Il messaggio di un uomo che è stato patron dell’Unesco, e testimonial Unicef. Con il fido Terence Hill ha vinto un David di Donatello alla carriera, nel 2010, ma l’Oscar continuava a riceverlo ogni giorno da una giuria speciale. «Il premio più importante me lo hanno sempre dato i bambini di tutto il mondo, che appena mi vedono mi corrono incontro e vogliono farsi la foto con il loro amico Bud Spencer». Mancherà a tutti, ma soprattutto a loro, i più piccoli.