«Il governo Letta-Alfano nasce per strappare il Paese da una situazione di pericolo mortale; per salvare l’Italia da una drammatica emergenza occupazionale, economica, sociale. Fare un governo ed evitare di tornare al voto con questa legge elettorale non era una scelta; era un dovere, direi un obbligo, ma...». Luigi Zanda riflette una manciata di secondi e riparte da quel ma. «... Ma per andare avanti (e dobbiamo andare avanti) serve rispetto, serve pesare scelte e parole». Siamo al primo piano di Palazzo Madama. L’ufficio del presidente dei senatori del Pd è una sola grande stanza: c’è una scrivania, ci sono un divanetto e tre poltroncine di stoffa chiara, c’è una grande cartina geografica del mondo che copre l’intera parete. Due foto ci guardano: una è quella di Luigi Berlinguer, l’altra quella di Aldo Moro. Al loro fianco c’è un manoscritto di Luigi Sturzo sui difetti dei parlamentari. Parliamo con Zanda per cinquanta minuti. Il capogruppo è duro, i suoi giudizi sono netti. Zanda chiede a Formigoni di lasciare la presidenza della commissione Agricoltura del Senato, rilancia il tema dell’ineleggibilità di Berlusconi, non condivide affatto la scelta dei ministri del Pdl di essere partiti per Brescia per manifestare contro la magistratura. Ascoltiamo in silenzio, poi lo sfidiamo: presidente questo governo si regge su equilibri fragili... Zanda ci ferma: «La lealtà, anzi la profonda lealtà, del Pd al governo e a questa strana coalizione è fuori discussione. Ma abbiamo anche un’altra ambizione: conservare il nostro profilo politico, difendere le nostre idee, rimanere quello che siamo. Abbiamo votato la fiducia al governo con il Pdl e con Scelta Civica, ma noi restiamo il Partito democratico e chiediamo rispetto per la nostra identità. Solo così riusciremo a vincere la sfida. A strappare il Paese da una drammatica crisi economica, ad aggiornare la Costituzione, a garantire una profonda, vera, seria riforma della Giustizia. Abbiamo un’occasione: riformiamo il sistema e poi, a fine percorso, potremo discutere sul serio anche di amnistia e di indulto. Sono temi profondi e sarebbe ingiusto banalizzarli e creare false aspettative, ma dentro una grande riforma sono temi che meritano una riflessione supplementare».
Nelle ultime ore la tensione sembra salire e sulle intercettazioni sembra aprirsi un nuovo fronte.Voglio essere chiaro. Uno: le intercettazioni sono uno strumento essenziale per le indagini e vanno certamente mantenute. Due: una modifica della legge che oggi le regolamenta non fa parte del programma di governo. Detto questo, quel che va vietato e sanzionato severamente è la loro diffusione impropria. Ma non basta. Quelle che non hanno attinenza con il procedimento o che riguardano fatti personali degli indagati vanno distrutte.
È un secondo motivo di scontro dopo Brescia...I membri del governo non devono scendere in piazza contro la magistratura dimenticandosi della divisione di poteri. Ma anche la magistratura deve avviare una riflessione profonda. È capitato che qualcuno abbia rinunciato a parlare con i provvedimenti giudiziari e abbia fatto inopportune dichiarazioni pubbliche. Si cambi, si ritrovi quel riserbo che spesso manca.
Basta questo?No, non basta. Ci sono state inchieste che la magistratura avrebbe dovuto condurre con maggiore prudenza. L’arresto di Ottaviano Del Turco ha cambiato ingiustamente le vicende politiche in Abruzzo. E questo non doveva succedere.
Come se ne esce?Cambiando la giustizia. C’è il capitolo dei processi civili: la loro lentezza uccide l’economia nazionale. E c’è il tema delle carceri: sono diventate l’università del crimine, e così generano criminalità. È così: l’affollamento disumano non garantisce un recupero, ha un effetto contrario; chi entra in carcere anche con pene lievi ne esce troppo spesso trasformato in peggio.
E allora?Allora servono proposte. Nuove carceri, depenalizzazione di alcuni reati.
Amnistia e indulto?Hanno un senso solo se sono legate a misure strutturali. Perché ogni volta che sono state concesse senza riformare il sistema delle pene e senza intervenire sul processo, chi è uscito dal carcere c’è troppo spesso tornato. Ma mi faccia andare oltre: c’è un grande nodo politica-giustizia e in gran parte la soluzione è in mano alla politica.
Si spieghi.Dobbiamo chiedere alla politica, come primo requisito, di non violare la legge. Qui c’è la radice del problema. Dobbiamo insistere sulla necessità che la politica abbia comportamenti esemplari. E il nodo non si risolve mettendo il bavaglio alla magistratura. Si risolve pretendendo scelte e passi...
Sta pensando a qualcosa di preciso?Sto pensando a Roberto Formigoni. È stato eletto presidente della commissione Ambiente del Senato anche con il nostro voto. Rientrava nell’accordo di governo e l’abbiamo rispettato, nonostante fosse oggetto di un’indagine dettagliata e carica di risvolti. Poche ore dopo essere stato eletto è arrivata però una richiesta di rinvio a giudizio con due imputazioni gravi: associazione a delinquere e corruzione. Beh, penso che Formigoni dovrebbe prenderne atto e, responsabilmente, rinunciare alla presidenza della commissione. Lo dovrebbe fare a propria tutela, ma anche a tutela del Parlamento.
C’è un altro tema: l’ineleggibilità di BerlusconiSecondo la legge italiana Silvio Berlusconi, in quanto concessionario, non è eleggibile. È ridicolo che l’ineleggibilità colpisca Confalonieri e non lui. Poi se vuole una valutazione politica allora sta facendo la domanda alla persona sbagliata: io sono un avversario politico di Berlusconi.
Si parla di pacificazione, l’idea di nominarlo senatore a vita...I senatori a vita li sceglie il capo dello Stato, ma non vada avanti: in sessantasette anni di Repubblica non è mai stato nominato nessun senatore a vita che abbia condotto la propria vita come l’ha condotta Berlusconi. Non credo che debba aggiungere altro.
La requisitoria di Ilda Boccassini e quella richiesta di interdizione perpetua ha lasciato in molti qualche dubbio. Lei che pensa?Tortora si è dimesso da parlamentare europeo per accettare il processo; Andreotti è stato presente a tutte le udienze... Berlusconi, invece, ha scelto di usare (e io direi in maniera spesso inopportuna) il legittimo impedimento. Io preferisco, senza nessun tentennamento, il comportamento dei primi due.
Parliamo di Brescia...A inizio intervista parlavo di esigenza di rispetto tra Pd e Pdl. La scelta di Alfano, Lupi e Quagliariello di manifestare contro la magistratura nega questa esigenza. Non metto nulla in discussione, ma l’onestà politica deve farci descrivere in modo sincero quello che vediamo: i ministri del Pdl stavano mettendo in pericolo l’esecutivo. Vede, la prudenza usata da Letta nella composizione della squadra di governo, dove non è entrato nessun ex ministro proprio per garantire il minor attrito possibile, veniva messo a rischio da una mossa politica molto sgraziata...
In quelle ore ha pensato ad altro?Ho pensato anche a quanto sia invasiva nei confronti della dirigenza del Pdl la leadership di Silvio Berlusconi.
Crede che con un ruolo diverso del Cavaliere la riforma della giustizia sarebbe più facile?Le rispondo politicamente: Berlusconi ha la responsabilità della qualità delle scelte del Parlamento. Non faccia pesare i suoi problemi personali sulle decisioni di Camera e Senato. Pensi al Paese.
Si parla di riforme e anche il Pd comincia a ragionare di presidenzialismo...Il presidenzialismo è perfettamente compatibile con la democrazia e non ho pregiudiziali. Ma l’elevato tasso di populismo che vedo nel Paese mi obbliga a un di più di freddezza.