«La linea resta una: evitare l’aumento dell’Iva. Quel punto in più sarebbe un colpo terribile a un Paese piegato, a famiglie che faticano, a imprese che non ce la fanno...». Stefano Fassina, ieri responsabile economico del Pd e oggi viceministro dell’Economia, sembra ignorare il pessimismo di mezzo governo e insiste: «L’aumento va evitato. E in queste ore stiamo discutendo su come riuscirci, non sul
se riuscirci». Una pausa. «E poi non c’è solo l’Iva. Abbiamo preso un impegno sull’Imu e c’è una disperata necessità di misure per l’occupazione giovanile. Tutto non si può fare, bisogna individuare la priorità, bisogna capire che le risorse sono quelle che sono ed è il momento di fare scelte».
Qual è la sua priorità?È evitare che un disoccupato o un lavoratore che campa con mille euro al mese sia costretto a fare i conti con questo punto in più di Iva. Non è possibile e non è giusto.
Per cancellare l’aumento di un punto di Iva servono però 4 miliardi ogni anno. Dove si prendono?Oggi siamo concentrati sul problema immediato, oggi la sfida di tutto il governo e del presidente Letta è evitare l’aumento di fine mese. Dobbiamo affrontare l’emergenza e rinviare la scadenza di luglio a fine gennaio 2014. Poi, nella legge di stabilità con un quadro macro-economico aggiornato, verificheremo una copertura strutturale che consentirà la cancellazione.
Fassina insisto: lo stop di sei mesi costa due miliardi...Abbiamo delle idee, ma su questo non dico una parola. Mi creda: stiamo lavorando con un solo obiettivo e lei ha capito bene quale.
Ha una ricetta per fronteggiare la disoccupazione?Non esiste. Esiste solo una ricetta per rilanciare la ripresa. Se vogliamo contrastare la disoccupazione dobbiamo ridare forza all’economia, dobbiamo sostenere gli investimenti, far tornare a correre i consumi, restituire potere d’acquisto alle famiglie. Almeno a quelle più in difficoltà.
Come?Beh, evitare l’aumento di un punto di Iva è una cosa. Non ho la bacchetta magica, ma possiamo (direi dobbiamo) recuperare risorse dall’evasione per aumentare detrazioni ai redditi bassi... C’è un ventaglio di opzioni, anche se dopo 5 anni di recessione continuo a pensare che il problema fondamentale è di ordine culturale: continuiamo a camminare sulla strada sbagliata.
Ce l’ha con l’Europa vero?Non c’è ancora piena consapevolezza di quanto drammatica sia la situazione. Dei lavoratori, degli imprenditori, dei giovani senza prospettive. La linea di politica economica seguita in questi anni nell’Eurozona non è sostenibile: aggrava la recessione, la disoccupazione e incide negativamente sul debito pubblico. In questi cinque anni di austerità è salito di trenta punti.
E ora?Ora va corretta la rotta. Non si va avanti con cerotti quando c’è una grave emorragia. E l’Italia deve spendersi con tutta la ritrovata credibilità politica: Letta deve spiegare a Bruxelles che così l’Europa è a rischio perché lo spread finanziario è sotto controllo, ma lo spread sociale e politico continua a salire.
Si spieghi.Ripeto: il quadro attuale è insostenibile. E senza correzioni rapide è reale il rischio di vedere messe all’angolo le forze europeiste e di vedere trionfare i populismi anti-euro che metterebbero a rischio il progetto europeo.
Quanto tempo ancora bisognerà stringere i denti?La situazione economico-sociale non è un fenomeno metereologico. Il quadro muta se c’è una risposta. Se c’è un percorso di riforme incisive a livello nazionale. Se anche i privati cambiano atteggiamento: c’è stato un deficit di investimenti da parte delle nostre imprese e ora bisogna invertire la rotta e scommettere sull’innovazione e sulla qualità dei prodotti.
Non crede che un taglio delle tasse debba diventare una priorità? Le nostre tasse sono nettamente maggiori di quelle degli altri Paesi Ue.Una premessa: abbiamo il doppio dell’evasione media europea oltre a un debito pubblico molto più elevato della stessa media Ue. E allora dobbiamo procedere legando il recupero dell’evasione alla riduzione della pressione fiscale cominciando dai redditi più bassi e dalle imprese più piccole. E non basta: questo deve avvenire in un quadro dove la politica macro-economica a livello europeo e l’agenda delle riforme a livello nazionale aggredisce i nodo fondamentali irrisolti.
Ma serve il taglio dell’Irpef o no?Serve eccome, serve una riduzione. Anzi sarò ancora più netto: è una priorità. Ma se non si aggrediscono i nodi strutturali non si risolvono i problemi.
Insisto: quando ne usciamo?Insisto anche io: noi siamo italiani e abbiamo tanti peccati, ma questo non ci impedisce di riconoscere l’insostenibilità dell’attuale impalcatura europea. E allora le dico: ne usciamo quando riusciamo a correggere la rotta. Facciamolo o la Commissione Ue farà il suo ennesimo rapporto e sposterà per l’ennesima volta la ripresa al semestre successivo.