Qualche luce e molte ombre. Ancor più scure dopo «l’emendamento che rischia di annullare il grande sforzo fatto per chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari, perché ci rimanda indietro di anni in tema di terapia in carcere». È «un bilancio preoccupante» quello del presidente della Società italiana di psichiatria (Sip), Claudio Mencacci, a poco più di un anno dalla chiusura formale degli opg. Perciò annuncia di schierarsi al fianco «di chi chiede una revisione di quel testo approvato in commissione».
Che cosa non va nel percorso di superamento degli opg? La legge 81/2014 rappresenta una conquista di civiltà per il nostro Paese, ma il passaggio alle Rems mostra una serie di criticità. Prima di tutto, la mancata modifica del codice di procedura penale sulle misure di sicurezza fa sì che i magistrati abbiano sostituito l’invio in opg – una struttura carceraria – con l’invio in Rems – una residenza invece sanitaria –, spesso senza che i periti nominati dal giudice abbiano effettivamente valutato adeguatamente le reali possibilità terapeutico-riabilitative di tale percorso per quel determinato caso. Così, non solo si saturano velocemente le Rems, ma aumentano in esse anche i pazienti psichiatrici che hanno commesso un crimine. Si stima, infatti, che almeno il 20% degli ospiti delle residenze sia autore di reato e che tale numero sia destinato a salire, trasfor-mando di fatto quindi le strutture riabilitative in un contenitore indistinto di marginalità e delinquenza.
E poi? L’ulteriore problema deriva dall’inclusione tra i soggetti con vizio di mente delle persone affette da disturbo di personalità. Anche se queste persone non possono venire adeguatamente trattate nei presidi sanitari, non è corretto tecnicamente farli convivere nelle strutture destinate ai pazienti con psicosi. Non differenziando adeguatamente, non solo non si cura bene, ma si rischia di far persino danni, visto che questi soggetti possono inficiare il percorso terapeutico degli altri ospiti presenti nelle strutture. Inoltre, loro possono utilizzare perfino strumentalmente la permanenza nelle residenze solo per evitare la detenzione in casa circondariale.
Quali soluzioni suggerisce? Innanzitutto occorre migliorare l’utilizzo sanitario delle Rems, considerandole fase di un percorso di cura, condiviso con i servizi territoriali delle Asl già nella fase di cognizione della pena. Si potrebbe prevedere, ad esempio, che vengano nominati periti con un adeguato collegamento con il Sistema sanitario; oppure istituire dei servizi di Psichiatria forense presso i Dipartimenti di salute mentale delle Asl per interfacciarsi col sistema della giustizia. In più, va potenziata e differenziata l’offerta di cura e riabilitazione psichiatrica all’interno degli istituti di pena, prevedendo lì la permanenza dei soggetti che necessitano di un periodo di custodia e cura prima del percorso sanitario nelle Rems o sul territorio, con possibilità di ritorno in carcere in caso d’inosservanza delle regole da parte del paziente. O ancora, prevedere l’organizzazione di qualche residenza per le misure di sicurezza ad alta intensità terapeutico-riabilitativa per persone con elevato rischio di violenza che necessitano di programmi di trattamento specifici e di personale appositamente preparato.
E al di là delle Rems? Non meno importante, sarebbe incrementare l’attività di monitoraggio dell’Osservatorio nazionale e di quelli regionali per verificare l’andamento dell’applicazione della riforma di chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Infine, vanno ristretti i criteri di non imputabilità per gli autori di reato affetti da patologia psichiatrica, attraverso una revisione del concetto di seminfermità mentale previsto dall’articolo 89 del codice penale e una ridefinizione del concetto di pericolosità sociale.