Con l’accusa di «oltraggio alla Corte» è finita ieri in carcere Kim Davis, la funzionaria del Kentucky al centro di una battaglia sulla libertà religiosa negli Stati Uniti. La donna aveva deciso di continuare a ignorare la sentenza della Corte Suprema – che a giugno ha riconosciuto come “diritto costituzionale” le nozze gay – appellandosi, da cristiana apostolica, all’obiezione di coscienza. Davis dovrà restare in carcere finché non deciderà di attenersi alla controversa sentenza del massimo organo giudiziario statunitense. «La Corte – si legge nelle motivazioni – non può condonare la disobbedienza ostinata a un ordine emanato secondo la legge». «Il tribunale non lo fa con leggerezza», ha commentato – nell’ordinare la carcerazione – il giudice distrettuale David Bunning, secondo cui «l’idea di un diritto naturale superiore all’autorità di una corte sarebbe un precedente pericoloso». Da parte sua la Davis ha sempre motivato il suo diniego in base alla fede religiosa: la donna ha sottolineato anche ieri che «il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna». La Davis ha smesso di rilasciare le licenze matrimoniali il giorno dopo la sentenza della Corte Suprema. Non solo a persone dello stesso, ma anche alle coppie eterosessuali.Una forma di protesta analoga a quella adottata da alcuni municipi dell’Alabama. Quattro coppie, due gay e due eterosessuali, a luglio hanno sporto denuncia contro la funzionaria. Il giudice Bunning ha dato ragione ai querelanti e imposto al cancelliere di «adempiere alle proprie funzioni, nonostante le sue convinzioni religiose». L’esecutività della sentenza era rimasta finora sospesa. Davis si era, dunque, rivolta alla Corte Suprema in modo da avere una proroga dello stop. Prima dell’udienza di ieri, 200 persone – alcune a favore, altre contrarie alle nozze gay – hanno manifestato fuori dal tribunale.