«Se l’
exploit nazionalista francese dovesse essere confermato dalle Europee, per la prima volta potrebbero entrare con numeri importanti nell’Aula di Strasburgo partiti che vogliono far deragliare il progetto. Sono come dirottatori su un aereo: non vogliono portare l’Unione europea verso un’altra destinazione, vogliono semplicemente farla schiantare a terra...». È un’immagine forte ma efficace, quella scelta dal viceministro degli Esteri Lapo Pistelli (Pd), preoccupato dal segnale che arriva dalle amministrative francesi: «Qualcuno dirà che il copione era già scritto. Ma il fatto che l’affermazione del Fronte nazionale di Le Pen fosse prevedibile, non la rende meno preoccupante. È la trama peggiore, fra quelle possibili, di un film che potrebbe andare in scena da qui a qualche mese sugli schermi europei».
L’appello all’unione lanciato da Le Pen alle forze euroscettiche d’Europa la inquieta?È una situazione inedita. Negli ultimi vent’anni, io ho fatto una campagna elettorale per me e cinque per altri candidati: ogni volta, in pochi ci occupavamo d’Europa, mentre tutti gli altri leggevano quelle elezioni come proiezione delle vicende nazionali. Stavolta non sarà così e la partita europea non sarà vissuta in chiave "tecnica", ma pienamente politica. Finalmente, vorrei dire, ma ciò comporta rischi: visto il periodo di bassa fiducia nelle istituzioni europee, potrebbe essere più facile prendere voti per chi, davanti a una costruzione incompiuta, propone di demolirla, piuttosto che per chi punta a completarla.
Prevede che qualche partito italiano risponderà alla chiamata lepenista?La Lega Nord mostra sintonia. Ma, a giudicare dai rapporti di forza, se dovesse aderire finirebbe per essere "divorata" da Marine Le Pen. Nel Movimento 5 Stelle, mi sembra che una componente interna contesti il modello Ue, ma partendo da posizioni di "estrema sinistra". E ciò riduce i margini per accordi con formazioni di destra come il
Front national francese o la tedesca
Alternative für Deutschland. Poi, se non temessi di passare per un "pifferaio di regime", aggiungerei una cosa...
Aggiunga pure.Il modo "smarcante" con cui il governo e il premier Renzi hanno impostato il rapporto con i vertici Ue può togliere acqua al brodo di coltura populista. È la dimostrazione che si può stare in Europa con assertività...
Una "italian way to Europe", un approccio non scettico né suddito rispetto ai diktat rigoristici di Bruxelles. Lo ritiene davvero possibile?Sì. E dico di più: credo che per questo nostro modo di essere i vertici europei dovrebbero ringraziarci.
Si riferisce ai presidenti Barroso e Van Rompuy?Mi riferisco a tutti quegli esponenti di una leadership europea ormai stanca, esangue e a fine mandato. Anziché continuare a fare i maestrini, a puntare il dito ed ad assegnare i compiti per casa, dovrebbero farsi da parte in modo delicato...
Cosa intende dire?I vertici del Consiglio e della Commissione europea, per cortesia, non influenzino coi loro "ditini alzati", o con la ripetizione di cliché ormai usurati, l’imminente campagna elettorale europea: noi rimarremo anche dopo, loro no. Non solo: gli ultimi esecutivi italiani, prima Monti, poi Letta e ora Renzi, hanno detto «noi i compiti a casa li facciamo, perché è giusto farli per conto nostro, ma ora è tempo di crescere».
Meno rigore e più flessibilità. È l’unica via d’uscita?La scommessa dell’Italia è di mantenere la stabilità nel lungo periodo, ma insieme consentire in tempi rapidi che finalmente la Ue agganci la ripresa. Come? Concedendo flessibilità a un patto che, già diceva Romano Prodi, contiene aree di "stupidità", come il contemplare la spesa per investimenti dentro il margine del 3 per cento. Io credo che la leadership europea uscente dovrebbe aggrapparsi a questo messaggio, se non vuole che l’intero progetto deragli sotto la contestazione europopulista. Chi è stanco di certe rigidità, deve sapere che non ha come unica alternativa quella di far saltare l’edificio, come vuole Le Pen, ma può scommettere, con Renzi e con gli altri leader delle forze europee costruttive, su come starci dentro in modo diverso...
E per ciò che non riguarda l’economia?A chi indica nell’Unione europea la radice di tutti i mali e punta a demolirla, bisogna contrapporre un disegno altrettanto forte. La "manutenzione ordinaria" non basta più. Servono almeno tre salti di qualità: un’integrazione politica, per trovare risposte comuni su energia, innovazione tecnologica, migrazioni; un’iniziativa robusta su giovani, formazione e mercato del lavoro; infine, una capacità di uscire dall’Europa, dialogando alla pari con altre grandi nazioni e continenti, dalla Russia all’America latina all’Africa, all’Asia, dove qualche anno fa eravamo percepiti come un modello e ora, per colpa della nostra stessa "depressione" non lo siamo più...
E se fra due mesi dovesse andar male, se alla fine gli euroscettici approdassero in forze a Strasburgo?Confido che non accada. Ciò detto, non sarebbe giusto lanciare adesso, in campagna elettorale, appelli a una contro-alleanza "preventiva" pro-Ue. Se però il voto dovesse dare quel risultato, sarà inevitabile che le grandi culture fondatrici dell’Europa, popolare, liberale e progressista, lavorino insieme nell’Europarlamento per salvare il progetto europeo.